Il 19 maggio del 1296 muore nella Rocca di Fumone (Frosinone) a causa della debilitazione dovuta alla prigionia PIETRO ANGELERIO (87 anni, detto Pietro da Morrone) presbitero, monaco e papa della Chiesa Cattolica con il nome di CELESTINO V.

Non è certo il luogo di nascita di Pietro da Morrone nel 1209/10. Sappiamo che proveniva dalla contea del Molise, nel Regno di Sicilia, ed era nato in una famiglia di semplici contadini, penultimo di 12 fratelli. La madre, Maria, rimasta presto vedova lo affidò  prima del 1230 al monastero benedettino di S. Maria di Faifoli ( presso Montagano, Campobasso).

Nel 1231 Pietro decise di farsi eremita e intraprese un viaggio verso Roma per chiedere il permesso al papa ma durante la strada si fermò su una vetta della Maiella e visse per alcuni anni l’eremitaggio.

Nel 1233 Pietro arrivò a Roma dove divenne presbitero e successivamento tra il 1235 e il 1240 si ritirò sulla montagna del Morrone, verso la Conca Peligna (L’Aquila), dove visse alcuni anni in una caverna. La fama della sua santità attirò molti pellegrini per cui nel 1241, per ritrovare la solitudine, si trasferì sui monti della Maiella dove con altri eremiti fondò l’eremo di S. Spirito a Maiella e nel 1259 costruì una chiesa, S. Maria, ai piedi del Morrone.

Pietro con la sua Comunità di eremiti non intendeva fondare un nuovo ordine per cui la comunità fu inglobata nell’ordine dei Benedettini, il 1 giugno del 1263, per ordine del papa Urbano IV. Successivamente Pietro entrò in contatto con gli spirituali francescani e il loro ideale di assoluta povertà: sulla scia di GIOACCHINO DA FIORE (1130- 1202) essi aspettavano l’età dello Spirito Santo e più tardi avrebbero visto Pietro, diventato papa, come il pastore angelico che, secondo una profezia del tempo, doveva precedere l’era dello Spirito Santo come purificatore. Comunque Pietro rimase legato ai Benedettini e Gregorio X, il 22 marzo del 1275, confermò l’incorporazione della sua Comunità in quell’ordine e ne confermò le proprietà.

La Comunità svolgeva attività agricole e crebbe in importanza tanto da arrivare a possedere S. Pietro in Montorio sul Gianicolo a Roma: Pietro visitava le varie case della Comunità preoccupandosi del benessere materiale e spirituale mentre continuava ad attirare molti pellegrini. Non si coinvolse con i contrasti tra la Chiesa e gli Svevi, allora dominatori dell’Italia meridionale, neanche quando il re francese-angioino Carlo I d’Angiò, sconfitto Manfredi re degli Svevi nel febbraio del 1266 a Benevento, divenne il nuovo signore.

Nell’inverno del 1273 Pietro si recò a piedi a Lione in Francia per partecipare al Concilio di Lione voluto da Gregorio X e la sua grande fama di santità spinse il papa a chiedergli di celebrare una messa davanti a tutti i Padri Conciliari dicendogli che “…nessuno ne era più degno”.

Monte Morrone

Pietro radicalizzò sempre più la sua vocazione ascetica e il suo distaccarsi dal mondo e dal 1275 l’attività di guida spirituale di Pietro raggiunse il culmine divenendo, nel 1276, abate del monastero di Faifoli (Campobasso) ed entrando anche in contatto con Carlo d’Angiò.  Ma gelosie di abbazie vicine lo costringono a ritirarsi e visitare la Puglia, la Toscana e Roma per sostenere le sue Comunità. Nel 1291 ritorna come priore a S. Spirito alla Maiella.

Ormai molto anziano e ben oltre la durata media della vita di allora continuò ad incontrare numerosissimi pellegrini e avendo cognizioni di medicina pratica si dedicò anche alla cura dei malati con qualche successo. Intanto continuava il suo combattimento interiore tra la vocazione alla solitudine e l’attività di cura delle Comunità affinchè la vita dei monaci fosse improntata ad assoluta semplicità. La sua fama ormai era totalmente diffusa in Italia e oltre.

Nel 1293 si ritrasferì ai piedi del Morrone dove la chiesa di S. Maria  ( luogo d’inizio della sua attività tanti anni prima) era ormai diventata un grande monastero. Ma Pietro non volle abitare lì  e si trasferì in una grotta a metà altezza del monte.

In quei mesi del 1293 il trono papale a Roma era vacante perché i cardinali non trovavano un accordo per l’elezione del successore di Niccolò IV, morto nell’aprile del 1292: pesavano le oscure rivalità tra le grandi famiglie nobiliari romane, i condizionamenti di Carlo d’Angiò e degli spagnoli-Aragonesi e i contrasti tra francescani e domenicani. Il conclave fu chiuso e riaperto varie volte a causa d’intrighi politici ed economici.

Sicuramente Carlo Martello ( poi Carlo II), figlio del re Carlo d’Angiò, aveva conosciuto Pietro e nel 1294 lo andò a trovare, con il padre, nei luoghi vicino Sulmona dove si trovava ed è  probabile che lo abbiano informato dei fatti del conclave infinito, sollecitandolo forse anche a mettere in gioco tutto il peso della sua autorità spirituale per far notare ai cardinali, in una lettera, quanto fossero deprecabili le loro beghe di potere e dannosa la lunga sede vacante. Intanto alcuni cardinali cercavano di trovare una soluzione, soprattutto quelli che avevano simpatia per il movimento degli Spirituali a cui apparteneva Pietro.

Tra maggio e giugno del 1294 vari disordini popolari a Roma spinsero i cardinali a riunirsi in conclave il 5 luglio e, grazie anche all’assenza di due cardinali tra i più facinorosi, Pietro da Morrone venne eletto papa per la sua santità personale ma anche perché considerato inesperto, anziano e quindi non troppo severo.

Era certamente una decisione complicata, perché a Pietro mancavano tutti i presupposti per reggere una Chiesa ammalata di potere: la conoscenza del complicato apparato curiale, del diritto canonico, dei problemi spirituali e politici; inoltre era troppo vecchio per potersi adeguare ai nuovi compiti.

S. Maria di Collemaggio, L'Aquila

L’11 luglio del 1294 Pietro ricevette la notizia della sua elezione a Sulmona, fu preso dal panico e pianse ma accettò l’elezione quando gli fu detto che, rifiutando, avrebbe commesso un peccato mortale. Carlo II ( divenuto re dei francesi nel 1285) giunse a Sulmona il 21 luglio per rendere omaggio al neoeletto e per non perdere l’occasione che gli si presentava di poter influire politicamente sul nuovo papa: da quel momento egli non si scostò più dal nuovo pontefice dando ordine per preparare l’incoronazione papale all’Aquila, dove Pietro aveva fondato anni prima la chiesa di S. Maria di Collemaggio.

Il 28 luglio, a dorso di un asino tenuto per le briglie dal re Carlo, sull’esempio di Cristo, Pietro fece il suo ingresso all’Aquila. Il gesto suscitò la critica dei cardinali, ma dal popolo accorso in folla fu interpretato come la prova che il papa angelico delle profezie di Gioacchino da Fiore era finalmente arrivato. Successivamente Pietro scelse il nome di Celestino per intendere i legami che lo univano con le forze celesti. Giunsero tutti i cardinali all’Aquila e di fronte ad una folla immensa il 29 agosto del 1294 Pietro fu consacrato papa nella chiesa di S. Maria di Collemaggio.

Uno dei primi atti ufficiali di Celestino fu un prototipo del Giubileo, che verrà poi istituito da Bonifacio VIII nel 1300:  emise la cosiddetta Bolla del Perdono, bolla che elargiva l’indulgenza plenaria a tutti coloro che confessati e pentiti dei propri peccati si recavano nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio tra il 28 e il  29 agosto di ogni anno. Fu così istituita la Perdonanza, ancora oggi tenuta all’Aquila. Per l’epoca in cui visse Pietro fu un atto rivoluzionario e profondamente evangelico.

Purtroppo Pietro, per inesperienza, si affidò incondizionatamente nelle mani di Carlo II d’Angiò, che lo consigliò di trasferire la curia papale a Napoli, capitale del regno angioino. Qui Celestino fissò la sua residenza in Castel Nuovo abitando una piccola stanza molto semplice dove spesso si ritirava a pregare. Carlo d’Angiò proteggeva il papa ma lo teneva anche in ostaggio e molte decisione papali, soprattutto politiche e contrarie al partito spagnolo-aragonese, erano influite da lui.

Molto probabilmente nelle sue meditazioni arrivò alla decisione di abbandonare il suo incarico ritenendo di non avere forze e capacità per cercare di spostare la Chiesa su posizioni più spirituali e libere da logiche di potere. In questo dissidio interiore il cardinale Benedetto Caetani, esperto di diritto canonico, lo tranquillizzava sul fatto che una rinuncia al pontificato fosse giuridicamente legittima.

Pietro si rese conto della sua ingenuità, della sua impreparazione e della sua lontananza dal mondo curiale, soprattutto per la sua mitezza e bontà d’animo, e capì di aver accettato il pontificato forse superficialmente. Carlo d’Angiò, per i suoi interessi, cercò di dissuadere Celestino dal dimettersi mentre il cardinale Caetani, legato agli interessi spagnoli, spingeva perché facesse questa scelta. Il 13 dicembre del 1294 a Napoli, in un concistoro, Celestino rinunciò ufficialmente all’ufficio papale per poter tornare alla sua vita eremitica.

Bonifacio VIII

Caetani aveva visto realizzato così il suo progetto di poter ascendere al soglio pontificio prima di quanto aveva previsto e il conclave, riunito a Napoli, lo elesse papa il 24 dicembre del 1294 con il nome di Bonifacio VIII, all’età di 64 anni. Bonifacio, di ben altra pasta a confronto con Celestino e legato agli interessi spagnoli, si preoccupò subito dei cardinali filo-francesi a lui ostili e temendo uno scisma dispose che Pietro fosse messo sotto controllo per evitare che fosse rapito dagli angioini. Celestino, avvertito, fuggì cercando di raggiungere la sua grotta sul Morrone e poi la Grecia ma venne arrestato il 16 maggio 1295 vicino Vieste, sul Gargano, dove cercava d’imbarcarsi.

Celestino cercò di farsi ascoltare da Bonifacio chiedendo di lasciarlo partire ma il papa fu irremovibile: Pietro venne rinchiuso nella rocca di Fumone (Frosinone), castello nel territorio della famiglia Caetani. Qui Pietro morì il 19 maggio 1296, dopo aver con grande difficoltà celebrata un’ultima messa, per la forte debilitazione fisica causata dalla deportazione e dalla prigionia.

Storicamente è ormai appurato che l’accusa a Bonifacio di averne ordinato l’assassinio non ha fondamento ma certamente  rimane responsabile della morte di Pietro causata dalla dura prigionia da lui imposta. Nonostante tutto Bonifacio portò il lutto per la morte di Celestino, caso unico nella storia papale, celebrò la messa di suffragio e iniziò la causa di santificazione che verrà portata a termine da Clemente V il 5 maggio del 1313, spinto dal nuovo re francese Filippo il Bello ma, soprattutto, da una forte acclamazione popolare.

I resti di Pietro da Morrone, dopo alcune peregrinazioni, riposano dal febbraio del 1317 nella basilica di S. Maria di Collemaggio a l’Aquila, dove fu consacrato papa.

 

Questo è il testo letto da Celestino V durante il concistoro del 13 dicembre 1294 a Napoli con cui rinunciò al pontificato:

“Io Papa Celestino V, spinto da legittime ragioni, per umiltà e debolezza del mio corpo e la malignità della Plebe [di questa città], al fine di recuperare con la consolazione della vita di prima, la tranquillità perduta, abbandono liberamente e spontaneamente il Pontificato e rinuncio espressamente al trono, alla dignità, all’onere e all’onore che esso comporta, dando sin da questo momento al sacro Collegio dei Cardinali la facoltà di scegliere e provvedere, secondo le leggi canoniche, di un pastore la Chiesa Universale.”


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