Meno memoria e più storia! Questo verrebbe da dire con l’avvicinarsi della Giornata della Memoria. Non si traila certo di contrapporre la prima alla seconda, dato che fanno parte di un unico processo di ricostruzione/interpretazione del passato, ma di rendersi conto che la forza della memoria risiede nel suo sapersi trasformare in storia. Lasciala a se tlessa, la memoria rischia di diventare uno spazio virtuale in cui tutte le contrapposizioni emotive fanno ressa per esprimersi a prescindere dalla indispensabile verifica di ciò che si afferma.

Non tutto quello che è oggetto della nostra memoria, così come non tutto quello che è passato diventa storia. Per trasformarsi in riflessione storica è indispensabile che il passalo sia interrogato con domande che rappresentano non certo orpelli antiquari ma, più o meno consapevolmente, ciò che stiamo vivendo. La domanda dello storico, per quanto mai neutra, diventa dunque, rispetto alla bruciante immediatezza della memoria, una prima forma di mediazione che lo conduce all’interno di un percorso di ricerca e di verifica delle fonti, vale a dire di quelle mille forme in cui si è depositata la memoria stessa.

Si tratta di un’operazione che richiede competenze e professionalità e che prova a incanalare il magmatico flusso di memorie contrastanti in una narrazione corrente, la cui credibilità dipende dalla serietà della ricostruzione storica. Quanto tale argomentala credibilità possa diventare conoscenza condivisa di una comunità dipende dal grado di maturità civica di quella comunità, che non va mai dato per scontato ma va anzi costruito giorno per giorno attraverso una partecipazione informata dei cittadini.

La storia in un simile percorso ha un ruolo decisivo perché rappresenta l’unica coscienza critica del presente che può attingere da quella insostituibile «banca dati» rappresentata dagli eventi trascorsi.

Forse non è un caso che sin da quando si commemora la Shoah si avverta una sensazione di crescente inquietudine. Da una parte c’è la consapevolezza che con il tramonto della generazione dei testimoni diretti di quell’orrore scomparirà la voce inconfondibile di chi ha vìssuto in prima persona la tragedia, ma dall’altra c’è il disagio per il diffondersi del flagello della cosiddetta post-verità, vale a dire della dilagante facilità nel plasmare pezzi di opinione pubblica attraverso emozioni, convinzioni personali, a prescindere dai fatti.

L’unico modo per rispondere a tale inquietudine è dare spazio alla storia non come generico passatempo culturale o gradevole intrattenimento, ma come opportunità per creare un ambiente refrattario alle bufale e alle semplificazioni.

Ecco perchè tutto quanto facilita la diffusione della storia (che non è magistra vitae né, tantomeno, la verità, ma conflittuale palestra di interpretazioni in un contesto di regole e metodi verificabili) va sostenuto. Abbiamo bisogno dì attenzione all’insegnamento a scuola, ma anche alla diffusione della «buona ricerca» tra le persone creando occasioni non accademiche di discussione pubblica del passato con studiosi riconosciuti. Solo moltiplicando tali anticorpi potremo fronteggiare l’angoscia della perenne e ineliminabile sfida alla memoria, individuale e  collettiva.

Fulvio Cammarano         Corriere di Bologna  26/1/2017

 

vedi:   Salviamo la Storia. La cultura italiana si mobilita.

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