Recinto provvisorio nel luogo dove fu trovato il corpo di Pasolini

 

« Che cos’è che ha trasformato i proletari e i sottoproletari italiani, sostanzialmente, in piccolo borghesi, divorati, per di più, dall’ansia economica di esserlo? Che cos’è che ha trasformato le “masse” dei giovani in “masse” di criminaloidi? L’ho detto e ripetuto ormai decine di volte: una “seconda” rivoluzione industriale che in realtà in Italia è la “prima”: il consumismo che ha distrutto cinicamente un mondo “reale”, trasformandolo in una totale irrealtà, dove non c’è più scelta possibile tra male e bene. Donde l’ambiguità che caratterizza i criminali: e la loro ferocia, prodotta dall’assoluta mancanza di ogni tradizionale conflitto interiore. Non c’è stata in loro scelta tra male e bene: ma una scelta tuttavia c’è stata: la scelta dell’impietrimento, della mancanza di ogni pietà. »

Pier Paolo Pasolini     Corriere della Sera, 18 ottobre 1975

 

 

39 anni. Sono passati 39 anni da quella tragica notte tra il 1 e il 2 novembre 1975 quando Pier Paolo Pasolini venne massacrato in un prato sterrato di Ostia. 39 anni. Quanto è peggiorato il mondo in questi 39 anni? Quanto è peggiorata l’Italia? Ma, soprattutto, quanto siamo peggiorati noi, uomini/donne qualunque? Chi non vede l’imbarbarimento nel quale precipitiamo quasi ora per ora forse ( ma senza forse) è complice della barbarie, dell’idiozia, della cialtroneria che c’invade. Pasolini “vide” dove stavamo andando, lui “sapeva” con prove e senza prove e oppose a questa china malefica tutta la sua intelligenza, la sua multiforme arte, la sua passione. E oppose il suo corpo di poeta.

Perché i poeti ( i veri poeti, non i poetucoli da fiera o da televisione) vedono l’anima del mondo e il suo perdersi e oppongono, come strenua resistenza, i loro versi carichi di dolente sogno. Pasolini, in più, rese verso, poema civile il suo corpo, il suo esporsi in ogni occasione possibile per avvertire tutti noi, quando potevamo ancora fermare l’avanzare del “neofascismo consumistico” ( come lo chiamava) che, dall’ubriacatura del boom economico, ci rubava l’anima e il cervello deprivandoci di ogni valore morale ed ideale che non sia il consumare. Si definiva “un corsaro” che raschiava consuetudini ed ipocrisie, ”tollerato” per le sue posizioni apocalittiche e la sua diversità a tutto tondo. Aveva il coraggio di parlare dell’Europa e delle nostre “democrazie” come di un cimitero di false promesse, di miraggi e di speranze fallite togliendoci un ottimismo facilone ed ottuso. Cercava di difendere una “religiosità” laica che stavamo perdendo: il fondo del suo insegnamento (scriverà in “Gennariello” nel 1975) era di portarci a non temere la sacralità e il sentimento accusando il laicismo consumistico, che ci stava trasformando in aridi e “stupidi” adoratori di inutili feticci. In “brutti” adoratori, dentro e fuori.

Non ha mai voluto essere simpatico, Pasolini, o  compiacente come tanti inutili intellettuali. Ha voluto molto di più: ci ha voluto bene, anche durante questi 39 anni. La risposta finale a tutto questo è stata un massacro del suo corpo. 39 anni dopo non possiamo più fermare niente, come un treno che corre verso un precipizio. L’abbiamo voluto tutti ( o quasi) questo disastro annunciato anche, e soprattutto, con la nostra diabolica indifferenza. Allora  ”non ci resta che piangere” direbbe Troisi. Per i migliori di noi resta, però, una cosa importantissima: la difesa della propria dignità attraverso la non complicità con questo triste stato di cose. Ma ora che il corpo di Pasolini non c’è più, da 39 anni, e ci sono rimasti i suoi versi, i suoi film, i suoi articoli come un’eredità preziosa e insostituibile, dobbiamo avere il coraggio di chiederci cosa è successo dentro di noi in questi 39 anni. La ” mutazione antropologica” tanto, tanto denunciata dal Poeta come si è realizzata in noi? Quanto?

C’è un celebrare Pasolini, che abbonda in questi giorni, che è solo fuffa autoreferenziale senza minimamente porsi queste domande personali e senza fare proprio l’esempio del Poeta di porsi come “contestazione vivente” ( come ebbe a dire) della mediocrità che ci circonda, a cominciare dagli alvei personali. D’altra parte non conviene mica! Si rischia la solitudine. Per questo scriverà in “Versi del testamento”: “La solitudine: bisogna essere molto forti per amare la solitudine; bisogna avere buone gambe e una resistenza non comune…” . Solitudine come resistenza. Poesia come Resistenza. Come amore per la libertà e la verità, camminando “senza fine per le strade povere dove bisogna essere disgraziati e forti, fratelli dei cani.” No. Non conviene mica! Meglio cavarcela con una bella manifestazione pasoliniana…

Un tempo i barbari arrivavano con urla, spade e volti spaventosi. Li potevi riconoscere, forse combattere. Oggi la barbarie arriva ( anzi è già piazzata nelle nostre vie, nelle nostre case, nei nostri televisori) come uno spot leccato, come un telegiornale vuoto, come una rivista patinata, come una conferenza interessante, come una politica ignobile, come il parlare vuoto della gente comune. E non si riconosce perché tutto sembra normale, normalissimo. Un orrore normale. Per potere riconoscere la barbarie di oggi bisognerebbe essere.. poeti, anche senza aver mai scritto dei versi. E opporre i nostri corpi o ciò che ne rimane. Ma ormai ci consegniamo quasi tutti ( ripeto un flebile quasi) credendo che i barbari siano la modernità che avanza e rimaniamo fottuti. Un tristissimo “sviluppo senza progresso“, sempre più, da 39 anni. Quel corpo massacrato c’interroga, lì sullo sterrato di Ostia.

Gruppo Laico di Ricerca,  1 novembre 2014

DIARIO MINIMO  33

 

 

 

vedi:   Le ceneri di Pasolini? Disperse…

Pensiero Urgente n.235)

 



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