Strade. Piazze. Gli eroi confiniamoli li. Dedichiamo loro dei luoghi. Per ricordarli o forse piuttosto per allontanarli da noi. Per farne figure estranee, un po’ stucchevoli. Persino quella parola, eroe, l’abbiamo consumata, destinata alle cerimonie. A quegli articoli sui giornali tutti pieni di superlativi, per risparmiare al cronista e ai lettori la fatica di cercare il termine giusto. Di capire davvero. Non uomini e donne come noi, ma nomi su una lapide. Corona di fiori o, se non ci hanno lasciato la pelle, titolo onorifico. Inno e bandiera tricolore. Lacrimuccia. E tutti a casa. Poi d’un tratto te lo trovi accanto, l’eroe. Alla stazione di Genova Brignole un martedi all’alba. Sei ancora incerto tra i sogni della notte e i pensieri del giorno che ti aspetta. In fondo al binario arriva il tuo treno per Roma, ma ecco che d’improvviso il macchinista aziona la sirena, una, due, cinque volte. Non capisci. Finché ti guardi davanti e vedi una ragazza distesa in mezzo ai binari.  In un istante capisci che devi decidere. Che cosa?

Tutto. Se fare un passo avanti, uno come ne hai fatto milioni, ma definitivo: buttarti sui binari, allontanarti da te stesso forse per sempre. Passa una frazione secondo. Ci pensi. Ecco il punto, valuti, pesi. Cerchi di capire. E l’attimo é già trascorso. Sui binari vedi un giovane che si é buttato, ha afferrato la ragazza, l’ha messa in salvo con un abbraccio istintivo. Lui ha fatto il balzo, tu e le decine di persone sul marciapiedi no. Lo guardi risalire sul marciapiedi accanto alla ragazza che gli deve la vita. Tutti   si fanno intorno, lo toccano quasi per prendere parte al suo gesto. Per vedere di che consistenza é fatto. E un giovane poliziotto in borghese, sotto la camicia i muscoli ancora tesissimi, il cuore che gli batte all’impazzata e ti pare di vederlo. Andava al lavoro, forse anche lui ha lasciato a casa una moglie, dei figli. E un uomo uguale a te, insomma. Pare stupito lui stesso del gesto che ha compiuto. Come se fosse stato il suo corpo, le gambe, le braccia. Non saprebbe dire che cosa lo ha spinto. Ma tu sai che cosa ti ha trattenuto.

Senti che siete da due parti di una linea invisibile, ma chiarissima. Lui si é buttato e tu sei rimasto immobile aggrappato alla valigia, alle tue cose. Avresti sempre giurato di essere pronto a rischiare la vita per gli altri. E invece no. Mentre ti guardi riflesso nel finestrino del treno capisci che devi rivedere l’immagine che hai di te. Non e stato un gesto d’istinto a farlo scattare, ma qualcosa di più profondo, il lavoro di tutta una vita forse. Provi ammirazione, quel sentimento in cui gratitudine e fastidio si toccano. Allora per liberarti del peso lo definisci “eroe”. Non una persona come te, puoi stare tranquillo. Puoi restare sul marciapiede.

 

Ferruccio Sansa       Il Fatto Quotidiano 16 settembre 2013

 

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