Gli italiani non hanno più alcuna fiducia nel governo, nei partiti, nelle riforme. Nemmeno più nelle istituzioni. A parte forse, come dicono alcuni sondaggi, nella figura del Presidente della Repubblica. La loro sfiducia nei confronti del futuro è altissima. Soprattutto quella dei giovani che non credono più che studiare e impegnarsi possa servire a qualcosa. E allora si indignano. E hanno ragione. Perché quando la fiducia crolla, forse non resta altro che indignarsi nella speranza che qualcuno li ascolti, li prenda sul serio, cominci a chiamare le cose col proprio nome e, smettendola di raccontare loro solo tante bugie, si rimbocchi le maniche per affrontare una volta per tutte i problemi del Paese.  Ma quale fiducia si può ancora avere in una classe dirigente che non ha fatto altro che tradire  sistematicamente le promesse, raccontare menzogne e negare la realtà? Come si può ancora chiedere la fiducia dei cittadini quando, di fronte alla crisi mondiale del neoliberalismo, il nostro presidente del consiglio è solo capace di promettere ancora una volta di fare “quella rivoluzione liberale per la quale siamo scesi in campo”?

Ormai lo sappiamo bene tutti. La fiducia deve tornare perché il paese possa sbloccarsi, rimettersi in marcia, trasformarsi. Peccato che la fiducia non possa essere decretata e che, una volta persa, ci voglia poi tanto tempo perché possa di nuovo tornare. Peccato che, per parlare di nuovo di fiducia, si debba prima riscoprire il valore dell’affidabilità e della credibilità.  Perché la fiducia nasce e si sviluppa solo quando si ha la possibilità di constatare che coloro in cui si ha fiducia non ci tradiscono, prendono sul serio le nostre aspettative e fanno di tutto per rispettare la parola data. Un tempo lo si sapeva bene: non si facevano mai promesse alla leggera, perché promettere qualcosa significava assumersi la responsabilità della propria parola; perché tutti sapevano che, un giorno o l’altro, la promessa sarebbe diventata un debito e che non rispettarla avrebbe compromesso il proprio onore. Pensiamo a uomini politici come Churchill durante la guerra o Roosevelt di fronte alle lobby della finanza. La parola aveva il valore di un atto: la fiducia scaturiva dall’affidabilità di coloro che si erano mostrati capaci di rispettare le promesse fatte. Certo, con questo non voglio dire che un tempo tutte le promesse venissero rispettate e che tutti fossero affidabili. Incertezze e tradimenti sono sempre esistiti. Ma non c’era questa moda assurda di promettere sistematicamente quello che si sapeva già di non poter realizzare. Né c’era questa malafede che negli ultimi anni ha spinto tanti responsabili politici a raccontare bugie nella speranza che, a forza di ripeterle cento, mille, un milione di volte, come diceva Joseph Goebbels, le menzogne si trasformassero magicamente in verità.

Quando Berlusconi ha preso il potere, ha illuso gli Italiani con l’assurda promessa di trasformare il Paese in un’azienda e di farla prosperare e arricchire in poco tempo come la Fininvest. Ha utilizzato le bieche tecniche del management manipolatore che consiste a far credere ai lavoratori che “tutto è possibile”, che basta “volere” per “potere”, e che se ognuno si impegna al massimo realizzerà tutti i propri sogni. Le stesse tecniche di alcuni amministratori delegati che, dopo aver promesso mari e monti, delocalizzano le proprie aziende e sacrificano i propri dipendenti, magari dopo averli colpevolizzati, accusandoli – ironia della sorte – di non essersi “sufficientemente impegnati”. Le stesse parole in libertà che non vogliono dire nulla, anche se per anni sono state accolte con entusiasmo e ottimismo, come la prova di una capacità fuori dal comune a saper parlare alla gente e farla sognare. Oggi, però, il re è definitivamente nudo. Il risultato disastroso delle bugie e delle manipolazioni è davanti agli occhi di tutti. E ormai nessuno ha più fiducia in nessuno. Come fare allora per uscire da questo circolo vizioso? Il sociologo Georg Simmel spiega bene come in ogni relazione di fiducia si ha tendenza a “credere” in qualcuno anche quando non si è del tutto certi della sua affidabilità. Ogni volta che si parla di fiducia – dalla fiducia in amore o nell’amicizia, alla fiducia nei rapporti di lavoro e nelle relazioni pubbliche – si parla anche di “scommessa”.

Avere fiducia in qualcuno, significa accettare di “saltare nel buio”, perché nessuno può mai essere sicuro che la fiducia accordata sarà sempre e solo onorata. Ma Simmel non è così ingenuo da confondere “fiducia” e “fede”, e dice anche che, come nel caso della conoscenza, nell’universo della fiducia si avanza lentamente, un passo dopo l’altro. Perché dopo il “salto” iniziale c’è anche bisogno di raccogliere una serie di “prove” capaci di confortarci nelle scelte fatte. Sarebbe assurdo continuare ad aver fiducia in chi ci tradisce ogni giorno, in chi non è capace mai di rispettare la parola data. Ecco perché oggi, di fronte a tanta sfiducia, solo la credibilità e l’affidabilità possono pian piano permetterci di ricucire il rapporto ormai lacerato tra il mondo della politica e i cittadini. Una credibilità e un’affidabilità che devono poter essere sperimentate quotidianamente e che non possono non fondarsi su un discorso di verità. Oggi gli Italiani non vogliono più promesse improbabili che non saranno mai tenute. Vogliono parole capaci di tradursi poi in fatti. Parole vere che per anni non sono state più pronunciate perché era più facile far sognare che sporcarsi le mani nella realtà di tutti i giorni. Parole sincere che possano far di nuovo germogliare il seme della fiducia e permettere alla gente di passare dall’indignazione all’impegno, dalla sfiducia alla speranza.

 

Michela Marzano      la Repubblica  27 ottobre 2011

 

 

L’importanza della verità

L´autunno italiano è triste, luttuoso, incerto. Gravano su di noi la maledizione della natura e l´irrisione del mondo intero. La lingua stessa sembra diventata di legno, equivoca, inservibile. Ma quando la usa il presidente della Repubblica tutti la capiscono. «Parliamoci chiaro, – dice oggi Giorgio Napolitano – nei confronti dell´Italia è insorta in Europa, e non solo in Europa, una grave crisi di fiducia. Dobbiamo esserne consapevoli e sentircene, più che feriti, spronati nel nostro orgoglio e nella nostra volontà di recupero». Dire la verità, dirla con chiarezza, con nettezza, in limpido italiano è il dovere d´ufficio che il capo dello Stato si è assunto. Oggi ne abbiamo avuto una nuova prova, tanto più importante quanto più amara è questa verità e più urgente la necessità che il Paese intero ne prenda coscienza. Da giorni, da anni, un altro uomo, uno che dice di governare l´Italia ma che è considerato da tutto il mondo un ostacolo alla credibilità di tutti noi come individui e come Paese, tenta di venderci la sua capacità di illusionista, mentre coi più meschini calcoli di potere personale rinvia le scelte necessarie e trascina sempre più in basso la credibilità del Paese avvolgendo nelle nebbie di messaggi vaghi la comunicazione con le istituzioni europee.

La parola di Napolitano giunge ancora una volta tempestiva in risposta alle incredibili dichiarazioni di un premier che cerca di raccontarci la sua favola preferita: quella dell´Italia paese ricco, dove abbondano i soldi e i consumi, dove i ristoranti e gli hotel traboccano di clienti, gli aerei di passeggeri. Dove se c´è qualche problema è per colpa dell´euro. A queste menzogne il Paese ha il torto di avere creduto nella sua maggioranza per troppi anni. Oggi scopre a carissimo prezzo di avere sbagliato: la voce dei pentiti non potrebbe essere più corale. E la verità è la medicina amara che deve prendere per guarire, per cessare di essere un burattino nelle mani di un manipolatore professionale dell´informazione. Enorme è il conto che viene presentato all´Italia al risveglio dal suo lungo sonno. Ci vorranno generazioni intere per saldarlo – le generazioni dei nostri figli. Il nostro è oggi un Paese che va letteralmente in pezzi, giorno dopo giorno: qui se sono fatiscenti e abbandonati i ruderi del mondo antico, ancor più fragili sono le costruzioni recenti.

Mai come oggi l´idea che ci sia qualcuno che governa l´Italia appare surreale. È per questo che è necessario dire agli italiani che c´è una grave crisi di fiducia nel mondo che ci riguarda e che dunque tutti gli italiani debbono sentirsi chiamati a risalire questa china. Il Paese Italia resterà inaffidabile finché parlerà al mondo con la voce dell´attuale presidente del Consiglio. Dunque deve esserci un´altra voce che si faccia ascoltare e che parli a nome di noi tutti. Poi ci divideremo nella divisione dei debiti e nel conteggio di chi deve pagare. Ma non oggi. Riconciliare le parole con la verità è il primo passo della ricostruzione che ci aspetta. Sarà una lunga fatica ma senza questo primo passo non si può nemmeno cominciare a rimboccarsi le maniche. Dunque è fondamentale che ci sia chi dice parole di verità: tanto meglio se lo fa con la garanzia di una credibilità che gli deriva non dalla sua pur altissima posizione istituzionale ma dal fatto di non avere mai mentito agli italiani e di avere saputo interpretare sentimenti e bisogni profondi del Paese. “La verità vi renderà liberi”, si legge nel Vangelo di Matteo. “La verità è rivoluzionaria”, scriveva
Gramsci.

Adriano Prosperi      la Repubblica  5 novembre 2011

 

 

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