Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati” “Dove andiamo?” “Non lo so, ma dobbiamo andare ”.

Così scriveva lo scrittore americano della beat generation Jack Kerouak nel suo capolavoro del  1957 “ On the road” ( Sulla strada), un libro che ha segnato un’epoca e tante persone degli anni sessanta. Persone inquiete alla ricerca di un senso nuovo da vivere nella società asfittica di quegli anni.

C’è solo la strada su cui puoi contare
la strada è l’unica salvezza
c’è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada e nella piazza
perché il giudizio universale
non passa per le case
le case dove noi ci nascondiamo
bisogna ritornare nella strada
nella strada per conoscere chi siamo.

C’è solo la strada su cui puoi contare
la strada è l’unica salvezza
c’è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada, nella piazza
perché il giudizio universale
non passa per le case
e gli angeli non danno appuntamenti
e anche nelle case più spaziose
non c’è spazio per verifiche e confronti.

Così scriveva e cantava Giorgio Gaber in uno straordinario brano che concludeva il suo spettacolo “ Anche per oggi non si vola” del 1974. Un brano rivolto, come tutto lo spettacolo, a persone inquiete alla ricerca di un senso nuovo da vivere nella società asfittica di quegli anni, gli anni ’70.

Strade. Strade per fuggire o per cercare. Strade per allontanarsi o per incontrare. Strade per ritrovare o dove perdersi. Strade per capire o solo per guardare. Strade da percorrere lentamente o di corsa come per desiderare che finiscano presto. Strade per uscire da sgabuzzini in cui a volte ci si rinchiude per tutta la vita per abitudine, paura o mediocrità.

C’è una strada che parte da Villa Pamphili, dall’Arco dei Quattro Venti. Percorre via San Pancrazio e poi passa sotto Porta San Pancrazio e prosegue per via Garibaldi fino a San Pietro in Montorio. Poi scende delle scale lì sotto la chiesa e riprende via Garibaldi fino a dividersi per via di S. Maria della Scala e per via di Santa Dorotea. Da qui prosegue per via di Ponte Sisto, attraversa Piazza Trilussa e Ponte Sisto. Poi questa strada imbocca via dei Pettinari e arriva a Piazza della Trinità dei Pellegrini. Qui la strada si ferma e si divide in mille rivoli: verso i Fatebenefratelli sull’Isola Tiberina, verso S. Giovanni, verso il Quirinale, verso S. Spirito in Sassia, verso S. Teresa a Porta Pia e altri luoghi di Roma.

Quella strada cominciò a formarsi in una domenica drammatica, il 3 giugno del 1849, quando l’esercito francese di Oudinot attaccò a sorpresa il Casino dei Quattro Venti ( dove c’è ora l’Arco) costringendo la Repubblica Romana ad iniziare una strenua difesa di se stessa e dei suoi valori. Quella domenica Garibaldi condusse, con i suoi Volontari, con i Bersaglieri, con gli studenti e con varie organizzazioni di popolani, tre attacchi per riprendere il Casino. La perdita di quella villa avrebbe segnato la sorte della Repubblica. Garibaldi lo sapeva. Lo sapeva Mazzini. Lo sapeva Mameli. Lo sapeva Medici. Lo sapevano tutti.  Fu tutto inutile. Fu un mare di vittime. Fu la “domenica di sangue”. Fu ferito Mameli, cadde Enrico Dandolo, cadde Angelo Masina. Caddero tanti, tanti furono feriti. Iniziò allora una processione di barelle, lungo la strada dal Casino dei Quattro Venti  fino a San Pietro in Montorio che divenne un’”ambulanza”, un pronto soccorso. Poi non bastò. Bisognava scendere sotto la chiesa, dove c’era il monastero di S. Maria dei Sette Dolori con la sua bella facciata borrominiana. Altra ambulanza. Ma non bastò. Bisognava arrivare fino alla chiesa di S. Maria della Scala con il suo convento. Altra ambulanza. Ma non bastò. Bisognava arrivare alla Trinità dei Pellegrini: lì una grande donna, amica di Mazzini, Cristina Trivulzio Belgiojoso, organizzò il centro di ricoverò più grande nei locali dove aveva operato accoglienza e cura per i poveri  San Filippo Neri secoli prima. Ma non bastò. Da lì Cristina costruì una ragnatela di ambulanze per Roma affidandole a donne altrettanto coraggiose come lei: Margherita Fuller, Enrichetta Pisacane, Giulia Bovio, Giulia Calame.

Uno dei combattenti raccontò:

“…la lunga lista rossa, come un tappeto rosso che dalla Porta San Pancrazio giungeva fino alla porta dell’ambulanza, della larghezza di circa un metro e ottanta centimetri. Questo tappeto era il sangue che colava dalle barelle che trasportavano i morti e i feriti…”

E’ la “strada del sangue“. Su quella strada era passato la sera del 3 giugno Mameli, in barella. Così racconta Garibaldi:

“ Dopo pochi minuti Goffredo mi ripassò d’accanto gravemente ferito… Non ci scambiammo una  parola; ma gli occhi si intesero nell’affetto che ci legava da tanto tempo… Egli proseguiva come in trionfo.”

La strada del sangue. Su quella strada passeranno tanti, troppi: Enrico Dandolo, Luciano Manara, Ulisse Seni, il fedele amico di Garibaldi Aguyar, per essere portati a Santa Maria della Scala. Emilio Morosini  e Colomba Antonietti per essere portati al monastero dei Sette Dolori. Mameli e Masina per essere portati alla Trinità dei Pellegrini ( sotto la gragnuola di proiettili e bombe sparate dai Francesi da oltre il Gianicolo). Con questi nomi altri nomi più o meno conosciuti portati nelle varie ambulanze distribuite per Roma: rivoli della strada del sangue innerveranno una città addormentata da tempo che ritrovava vita e ragioni per vivere e anche per morire. Sarà così fino all’inizio di luglio. Poi tutto verrà pian piano normalizzato. Il papa ritorna, si spegne la Repubblica e la strada del sangue si cancella lentamente, tornando polverosa ieri, oggi asfaltata e piena di traffico e di gente che cammina non sapendo nulla di dove mette i piedi per quelle vie. Polvere e asfalto sono entrati nei cuori e nel cervello.

Per due domeniche abbiamo percorso tutta quella strada, per proseguire idealmente la Fiaccolata al Gianicolo del 16 giugno 2011, quella via Crucis laica. Persone sanamente inquiete alla ricerca di un senso nuovo da vivere nella società asfittica di questi anni, gli anni 2000. On the road non per fuggire ma per ritrovare ancora, dalla Trinità dei Pellegrini fino al Sacrario del Gianicolo, i segni di quella strada del giugno del 1849. Forse per ritrovare noi stessi, ritrovare il coraggio e la dignità.

La strada è l’unica salvezza”, cantava Gaber. Abbiamo percorso quelle strade ( oggi in parte trasformate) per cercare salvezza da un’epoca grigia e oscura e dal peggio di noi stessi.  Abbiamo riportato dove erano le ambulanze della Trinità dei Pellegrini, di Santa Maria della Scala, del monastero dei Sette Dolori, di San Pietro in Montorio la bandiera della Repubblica Romana per difendere la quale quella strada si bagnò di sangue. L’abbiamo portata per le vie di oggi che ricoprono la strada di ieri. Lentamente, pensando, ringraziando, decidendo, ognuno,  qualcosa per cui valga la pena vivere e, chissà, morire.

Alla fine di quel terribile 3 giugno uscì un comunicato del Triumvirato indirizzato ai combattenti: li elogiava “ per aver sostenuto oggi l’onore di Roma e l’onore d’Italia”, contendendo il terreno palmo a palmo alle “ più valorose milizie d’Europa”. Il proclama terminava con un appello di grande importanza:

“ siate costanti… Roma è inviolabile: custoditene le mura, dentro le vostre mura sta raccolto l’avvenire della nazione”.

Ecco, forse è qui il senso di quella strada. La strada del sangue…

 

 

vedi:  3 giugno 1849: una domenica di sangue.

Il coraggio di una Repubblica  (1). Il sacrificio di Mameli e il coraggio di Cristina,

Il coraggio di una Repubblica (2). Il sacrificio di Manara e Colomba.,

COME SI DIFENDE UNA REPUBBLICA,

12 giugno 2011. Perchè una Fiaccolata sul Gianicolo?,

16 giugno 2011. L’eredità del Gianicolo,

FIACCOLATA AL GIANICOLO,


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