Erano giorni pieni di vita, impegno e speranze, quei giorni. I giorni in cui nasceva una Repubblica in mezzo ad un’Europa di re e imperatori. In una città dominata dal più re dei re, il papa. Giorni euforici, pieni di sogni e attese a Roma nel 1849. Tra il dicembre del 1848 e il febbraio del 1849. E ci furono dei luoghi simbolo in cui, in modo particolare, la Repubblica Romana prese forma attraverso assemblee, dibattiti, votazioni, elaborazioni di proclami. Teatri, piazze e palazzi e alberghi: soprattutto uno di questi, l’albergo Cesàri a piazza di Pietra, uno dei più prestigiosi di Roma, fondato nel 1787, che aveva visto e vedrà ospiti importanti.
Ma in quei giorni del gennaio del 1849 ospitava gruppi di giovani provenienti da tutt’Italia e anche d’Europa. Giovani repubblicani e liberali che, quasi tutti, avevano partecipato già a cospirazioni o battaglie del 1848. Giovani ma già grandi nelle idee e nelle esperienze. Quasi tutti colti, studenti, alcuni già giornalisti, poeti, musicisti, avvocati. Quelle stanze d’albergo, abituate ad ospitare turisti o artisti in viaggio, signore di buona società o nobili, dedite a garantire ore tranquille di riposo a pochi metri da via del Corso e in pieno Centro monumentale, ora erano diventate luoghi d’incontro e dibattiti in un pullulare di gruppi che sciamavano per i corridoi, per le scale e la piazza antistante. Un andirivieni di ragazzi e idee, di progetti e bozze di dichiarazioni, di confronti e riflessioni: nasceva una Repubblica, in un albergo.
Quei giovani patrioti, soprattutto mazziniani, discutevano sullo sbocco istituzionale da dare a quella straordinaria avventura romana. Tra di loro spiccavano Goffredo Mameli e Filippo De Boni, il fondatore del giornale mazziniano più importante di Roma: “Il Tribuno” che sarà una fucina di idee e progetti. Tra quei corridoi e quelle stanze, in quei giorni, c’è anche Garibaldi, da poco arrivato a Roma. Tra quei corridoi e quelle stanze si propone che: “ La Costituente Romana formasse il nucleo dell’italiana, raccolta con suffragio universale”. Insomma, progettavano di affidare ai deputati, che verranno eletti nello Stato Pontificio fra pochi giorni, il 21 gennaio del 1849, all’Assemblea Costituente, “ anche il mandato per sedere nella Costituente Italiana”, con il contributo economico di Carlo Luciano Buonaparte, cugino del futuro Napoleone III di Francia. Si, in quelle stanze, per quei corridoi si costruiva la futura Repubblicana Romana, ma già si pensava alla Repubblica Italiana. Quei ragazzi avevano lo sguardo ampio che avevano appreso dal loro maestro, Mazzini.
Egli stesso aveva scritto ai romani il 5 dicembre del 1848: “ … Pio IX è fuggito: la fuga è un’abdicazione. Principe elettivo, egli non lascia dietro di se una dinastia. Voi siete, di fatto, REPUBBLICA…”.
E una Repubblica quei ragazzi, romani e di tutta Italia, stavano costruendo in quel gennaio del 1849. Ma non era solo quella Romana, dicevamo. Lì, all’albergo Cesàri, per la prima volta in maniera decisa e organizzata si pensa all’Italia, la Repubblica italiana. E’ straordinario! E nessuna lapide ricorda questo fatto sulle pareti dell’albergo Cesàri in via di Pietra. Ma come, tanto strepito per l’anniversario del 17 marzo e “sfuggono” i luoghi dove si provò a fare l’Italia non del Piemonte ma degli italiani. Mah!
In quei giorni prese forma in quelle stanze il Comitato dei Circoli Italiani, chiaramente d’ispirazione mazziniana, come sviluppo del Comitato Toscano, che era stato il primo a formarsi. Angelo Brunetti, il famoso Ciceruacchio, è il primo ad aderirvi come rappresentante del popolo di Roma: rappresentante di una Repubblica nella Repubblica più grande. Subito aderiscono alcuni esuli milanesi, come Cernuschi e Maestri. E poi via via i rappresentanti delle altre città. Tutti insieme, per quei corridoi e per quelle stanze, elaborano e firmano un MANIFESTO AGLI ELETTORI in cui sostengono che ai deputati, eletti a suffragio universale maschile nelle elezioni del 21 gennaio, doveva essere affidato contemporaneamente il mandato di rappresentare la Repubblica Romana alla futura Costituente Italiana.
“ Nessuno dei governi esistenti è nazionale, né fu mai nazionale in Italia… La tradizione non ci dà ne lo Stato di Sardegna, né la Toscana, né le due Sicile e tanto meno l’Alta Italia. Ci dà Sicilia, Firenze, Genova, Pisa. Ma chi dovrebbe dividere in mille brani l’Italia?… Non resta che riunire la tradizione unitaria e la municipale. Da ciò risulta un’unità nazionale, stabilita su base di larghe libertà municipali.” ( dal “ Manifesto agli Elettori”, gennaio 1849 ). Pochi giorni dopo, il 12 gennaio al Teatro Metastasio in via della Pallacorda, questo Manifesto sarà sottoposto all’approvazione di un’enorme assemblea popolare.
Nasceva l’Italia. L’Italia che non sarà. Nasceva l’Italia delle autonomie municipali riunite in una Repubblica; le idee di Mazzini e di Cattaneo che s’incontravano in quelle stanze. Un’Italia che non si realizzerà, per ritrovarci l’Italia piemontese di Cavour e Vittorio Emanuele, quella di oggi. Un’Italia senza vita, senza municipi, senza Res-publica. Un Italia che tanti italiani sogneranno negli anni a venire, per cui molti pagheranno il prezzo della vita. Inutilmente.
Dopo le elezioni del 21 gennaio 1849, il 18 febbraio viene eletto Mazzini alla Costituente, nelle elezioni suppletive, per i collegi di Ferrara e di Roma. Nella fulgida notte del 9 febbraio, quando nel Palazzo della Cancelleria era nata la Repubblica Romana, Mameli aveva scritto un telegramma a Mazzini, che viveva a Firenze sotto il falso nome di Felice Casali; poche parole che contengono la storia: “ Roma, Repubblica, venite!”.
E Mazzini venne a Roma, il 5 marzo del 1849. Molti anni dopo, poco prima di morire, egli avrebbe ricordato con struggimento il suo arrivo: “ Roma era il sogno de’ miei giovani anni… e v’entrai la sera, a piedi, sui primi del marzo, trepido quasi adorando. Io aveva viaggiato alla volta della sacra città coll’anima triste fino alla morte per la disfatta in Lombardia, per le nuove delusioni incontrate in Toscana… E nondimeno trasalii, varcando Porta del Popolo, d’una scossa quasi elettrica, d’un getto di nuova vita…”.
E dove poteva alloggiare se non all’albergo Cesàri, dove aveva preso forma il suo sogno repubblicano. Quelle stanze e quei corridoi videro Mazzini nei suoi primi giorni a Roma, il suo entusiasmo e la sua ritrovata gioia che condivideva con quei suoi ragazzi che, con il popolo di Roma, avevano fatto del regno del papa una Repubblica. Il giorno dopo, il 6 marzo, Mazzini andrà di buon ora al palazzo della Cancelleria per prendere il suo posto di deputato all’Assemblea Costituente. Fu accolto trionfalmente e disse: “ Io parlo a voi qui della Roma del Popolo; non mi salutate di applausi; felicitiamoci assieme. Io non posso promettere nulla di me, se non il concorso mio in tutto ciò che voi farete pel bene dell’Italia…” .
La mattina aveva scritto all’amatissima madre, a Genova: “ Sono in Roma sano e salvo. Sono stato accolto benissimo. Ho veduto tutti i membri del governo, e mi sono amicissimi. Oggi vado alla Camera dove parlerò… non ho e non avrò per alcuni giorni un minuto di tempo. Curate la vostra salute, scrivetemi, salutate gli amici e amate sempre il vostro Giuseppe.”
La sera del 6 marzo una folla enorme era radunata in piazza di Pietra, in via di Pietra fino al Corso, in piazza Colonna. Una folla lì davanti all’albergo Cesàri per festeggiare Mazzini, la leggenda dell’uomo che si batteva per l’Italia unita e per la Repubblica. Il Padre di quella Romana e di quella futura Italiana, così come si era progettato in quelle stanze, in quei corridoi. Egli era visto da quei ragazzi e da molta parte del popolo di Roma come la guida più sicura e affidabile per quei momenti entusiasmanti e drammatici in cui si stavano decidendo le sorti di Roma e dell’Italia.
Si affacciò ad una finestra e parlò. Esaltò la Repubblica come la realtà politica della trasparenza e del coraggio civile. Invito a resistere nei momenti difficili che sarebbero venuti, perché era possibile realizzare il sogno della vittoria: “ Noi siamo stati finora in un periodo di menzogna, nel quale gli uni gridavano evviva a chi non stimavano, perché credavano di giovarsene, gli altri nascondevano la loro credenza perché dicevano non essere tempo di rivelarla. Ora, grazie al principio repubblicano proclamato da voi in Roma, noi cominciamo un’epoca nella quale la moralità deve essere la prima condizione del cittadino… Vedrete che il nemico sfumerà. La sua potenza è simile a quei fantasmi dei quali ci parlano le nostre balie: spaventosi in apparenza, guardateli in faccia, spariscono.”
Roma ascoltava. E noi questa domenica, un 6 marzo di 162 anni dopo, abbiamo riletto queste parole davanti all’albergo Cesàri. Le abbiamo ascoltate anche noi. Non avevamo fiori o bande. Solo la bandiera della Repubblica Romana che abbiamo aperta, in mezzo a gente distratta dal carnevale e indifferente, gli italiani di oggi, il prodotto dell’Italia piemontese. Quella bandiera è stata la targa ( che non c’è e dovrebbe esserci) che abbiamo “affisso” per qualche minuto a ricordare delle stanze e dei corridoi dove nasceva una Repubblica, dove nasceva un’altra l’Italia “nella quale la moralità deve essere la prima condizione del cittadino…”.
vedi: 12 gennaio 2011. La Repubblica in un teatro
6-13 febbraio 2011. Una settimana repubblicana.
Principi Fondamentali Repubblica Romana
La Repubblica Romana del 1849 : 161 anni dopo
Repubblica Romana: l’occasione sprecata per una nuova Italia