Ferire o mutilare la Carta significa riaprire quella guerra

Giuseppe Filippetta ha scritto un libro (L’estate che imparammo a sparare”, Feltrinelli) che ha un sottotitolo rivoluzionario (“Storia partigiana della Costituzione”) e mantiene la promessa. Sostiene che la Costituzione italiana, così come essa è e come molti italiani cercano di difenderla, viene prima, non dopo il formarsi e i discutere dell’Assemblea costituente.

Dice che prima di ogni giurista e politico fra coloro che hanno dato all’Italia la sua legge fondamentale, la regola di condotta morale, giuridica, politica del Paese, vengono i partigiani.

Sono le loro persone, le loro vite, a cominciare da quelle perdute nei combattimenti, nei rastrellamenti, nella prigionia, nelle torture, nelle deportazioni, sono le persone, i corpi, il dolore, la fatica, il rischio, il coraggio contro la paura, la decisione di combattere contro quella di scomparire nel vuoto che la fuga delle classi dirigenti aveva indicato, che hanno composto gli argomenti, il senso, il testo della Costituzione antifascista che l’Italia di è data.

In questa parola, “ antifascista ”, è il senso nuovo e straordinario del documento storico che è il libro di Filippetta. Infatti questo testo non è un percorrere date ed eventi per ricordare ancora una volta ( con una forza narrativa pari al rigore saggistico ) che la Resistenza ha salvato l’Italia dalla vergogna di essere stata per 20 anni un Paese fascista fondato sulla persecuzione, e legato fino alla fine al regime delinquenziale della Germania Nazista.

L’operazione dello storico e costituzionalista Filippetta si basa su tre punti: chi ha combattuto ha costruito, anche materialmente, il futuro della Repubblica. Chi ha combattuto lo ha fatto per sempre. Dunque i tentativi continui di ferire, mutilare, ignorare o respingere la Costituzione sono tentativi di riaprire quella guerra e pretendere di ignorare la definitiva sconfitta e cancellazione del fascismo.

Ma, sopratutto, questo libro da’ all’antifascismo un senso, uno spazio, un peso, un valore ben più grande della celebrazione (quando ancora accada che vi sia una celebrazione) sia dei caduti, sia delle vittime. L’antifascismo non è simmetrico e contrario a un suo nemico (il fascismo) in una sequenza storicamente reversibile (bravi ragazzi gli uni e gli altri perchè ogni valore è stimabile).

L’antifascismo è il mondo di civiltà e libertà che uomini e donne si sono dati nel corso di secoli, progressivamente meno barbari, meno oppressivi, fondati sempre più sul rispetto e i diritti di ciascun essere umano, sulla negazione del razzismo, sull’impedire l’esercizio fanatico del potere senza limiti.

L’antifascismo – a cominciare dal coraggio personale e individuale di coloro che, nel saggio – racconto di Filippetta, “impararono a sparare”, perchè era necessario, è immensamente più grande degli avversari che deve fronteggiare anche oggi, sopratutto in difesa di coloro che vengono dopo e che hanno diritto di essere difesi come l’Italia abbandonata del 1943 è stata difesa dal coraggio dei partigiani.

Il fascismo è un dettaglio di un crollo di umanità, una misera resurrezione che divampa dovunque può confrontarsi con i deboli (vedi la lugubre cerimonia degli sgomberi dei rom e delle case occupate, che ogni tanto viene celebrato, solitamente di notte, per ostentare il disprezzo dei deboli e provocare il terrore dei bambini), dovunque ci sia contagio del virus di sovranismo e populismo, fra campi di filo spinato e porti illegalmente e anticostituzionalmente chiusi.

Ma queste ragioni non sono che un imperfetto sommario di un libro che aggiunge molto alla cultura italiana dei prossimi anni e alla consapevolezza di adesso.

Furio Colombo      Il Fatto    2/9/2019

 

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