Necessario, possibile, suicida? Proviamo a ragionare sul governo M5S-Pd senza evitare nessuna delle numerose pietre d’inciampo. Prima questione: Salvini è un pericolo per la democrazia? Se sì, sono ragionevoli anche i salti mortali per evitare le urne, altrimenti è più giusto e anzi doveroso andare subito al voto, che pure darebbe probabilmente al capo putinista la maggioranza assoluta in parlamento. Pericolo per la democrazia significa fascismo incombente, regime che lo prepara e avvicina a grandi passi.

M5S e Pd non hanno mai bollato fin qui la politica di Salvini come proto-fascismo. Che finalmente lo capiscano è da salutare con un brindisi, ma implica profondi cambiamenti nelle loro analisi e prospettive, altrimenti diventa doveroso il sospetto che si tratti solo di una giravolta tattica.

E arriviamo con ciò alla seconda questione: in cosa consiste il pericolo fascista di Salvini? Perché sulla giustizia, le grandi opere e gli appalti, la Rai e l’informazione, i diritti dei lavoratori e il welfare, l’ecologia, i beni culturali, la (non) lotta a mafie, corruzione, grande evasione e molto altro ancora, la sua politica è assolutamente identica a quella di Berlusconi, con cui del resto la Lega è stata fino a ieri felicemente alleata, tanto al malgoverno che all’opposizione.

Di suo Salvini ci mette lo spurgo razzista, che pure a parole nega recisamente. È molto, ed è ripugnante. Ma non è che Berlusconi abbia mai brillato come paladino dei diritti umani universali, quelli dei migranti compresi.

Resta perciò assai offensivo verso la logica vedere in Salvini il proto-fascismo (che, solo, giustificherebbe l’allontanamento delle urne) se non si è riconosciuto nei governi Berlusconi il tentativo di realizzare regime picconando l’abc della democrazia, offensiva parzialmente sventata solo per l’opposizione militante e le piazze straripanti della società civile giustizia-e-libertà.

Terza questione: un governo che nasce per impedire la deriva fascisteggiante dei pieni poteri a Salvini, deve avere la caratura per durare quattro anni ed essere già d’accordo sul futuro capo dello Stato da eleggere. Senza di che, nuovamente, non farebbe che apparecchiare consensi di cui Salvini sarà felice di ingozzarsi.

E siamo con ciò al quarto punto, crucialissimo: il programma. La forza di Salvini nasce dalla rabbia – sacrosanta! – accumulata in un quarto di secolo di malgoverno, regime berlusconiano più inciucio, che ha mandato alle stelle le disuguaglianze e reso insopportabili corruzione, privilegi, arroganze della Casta. Di conseguenza, un governo di legislatura M5S-Pd ha senso solo se capace di invertire radicalmente la rotta, di essere un “governo dell’uguaglianza”, di compiere la “rivoluzione della legalità”, insomma di sradicare le ragioni morali, sociali e simboliche che hanno fatto e continuano a fare da combustibile alla macchina da guerra del proto-fascismo salviniano.

Ma un programma adeguato a questi obiettivi non sarà mai possibile come governo di coalizione con ministri 5S e Pd, perché, ecco il quinto punto e la non evitabile pietra d’inciampo, sui contenuti 5S e Pd sono incompatibili tanto quanto lo erano 5S e Lega. Massimo Giannini qualche giorno fa su Repubblica di tali incompatibilità ha fornito un elenco che per quanto sommario fa già rabbrividire.

Tiriamo le somme: se con Salvini la democrazia è davvero a rischio, come scoprono ora Pd e 5S – e lo è certamente, come in solitudine andiamo proclamando ab ovo è necessario un governo di legislatura giustizia-e-libertà che rompa con il passato di Casta che ha prodotto l’esplosione dei consensi al cosiddetto populismo-sovranismo (in realtà pre-fascismo).

Ma un governo che nel programma, e nella coerenza e credibilità dei suoi ministri, smonti le radici di quel consenso e indirizzi la sacrosanta rabbia popolare verso obiettivi di redistribuzione della ricchezza e di rinascita civile e culturale non può essere che un governo della società civile giustizia-e-libertà.

Se M5S e Pd considerano davvero a repentaglio la democrazia italiana per i vasti consensi a Salvini, è questo governo, dei Zagrebelsky, Carlassare, Scarpinato, Davigo, Mazzucato, Saraceno, Caracciolo, Canfora … che dovrebbero impegnarsi a sostenere lealmente per quattro anni, in modo disinteressato, e nel frattempo rinnovarsi al proprio interno per tornare ad essere strumenti di democrazia anziché veicoli di carrierismi e peggio.

Che trovino questo coraggio, anzi questa vera e propria Damasco di conversione, potrà suonare fantapolitica. Ma è l’unica strada possibile. Altrimenti vorrà dire che in realtà non sono mossi dal desiderio di salvare l’Italia dal rischio antidemocratico ma dal bisogno di salvare il proprio potere e la continuità dell’establishment. Ma così facendo non saranno che i Facta di Salvini.

Paolo Flores d’Arcais       in   micromega on line     21 8 2019

 

 

Ritorniamo al buon diritto Legalità, umanità e Governo possibile

Finalmente, dopo venti giorni, i naufraghi della Open Arms sono potuti sbarcare, grazie a un provvidenziale intervento della magistratura. Il sospiro di sollievo è legittimo e anche doveroso, ma c’è un aspetto della questione che merita un approfondimento. Per giorni si è discusso su quanti e quali profughi stessero abbastanza male da convincere le autorità a lasciarli scendere a terra. La contesa politico-umanitaria si è trasferita su un terreno che dovrebbe essere relativamente obiettivo, quello medico, sulla base di diagnosi contrapposte sulle condizioni delle persone trattenute a bordo.

Il punto è che le questioni dei salvataggi in mare e dell’asilo sono state dislocate dal piano dei diritti a quello della compassione. Non si tratta più di diritti umani incoercibili, e quindi di doveri inderogabili per uno Stato democratico che quei diritti ha liberamente riconosciuto e incorporato nella propria Costituzione e in svariati Trattati intenazionali. Sono stati ridotti a situazioni da prevenire e da tenere a distanza il più possibile, e poi eventualmente da esaminare caso per caso ancora prima che gli interessati richiedano eventualmente la protezione internazionale.

I criteri surrettiziamente introdotti sono quelli dell’età (i minorenni soli, ma non quelli che hanno un fratello a bordo), del genere (le donne, specialmente se incinte o accompagnate da bambini in tenera età), o appunto delle condizioni di salute (ma con riserve, soprattutto quando il problema riguarda la sfera psichica, e non è quindi facilmente diagnosticabile).

Uno scivolamento analogo si constata nel ricorso ad altri due argomenti anti-accoglienza abbondantemente utilizzati dalla rumorosa propaganda nazional-populista, di fronte ai quali i difensori dei diritti umani mostrano spesso un certo imbarazzo. Uno è il preteso benessere dei richiedenti asilo, dotati -si dice- di cellulari ultramoderni, catenine d’oro e monili vari. Anche in questo caso, i rifugiati dovrebbero far compassione per essere accolti, recitare la parte dei miserabili privi di tutto per suscitare la nostra pietà. Altrimenti non sarebbero meritevoli di accoglienza.

Riecheggia la perniciosa idea che la causa delle migrazioni in generale sia la povertà assoluta, la fame, l’incapacità di provvedere a se stessi, ma l’idea è ancora più sbagliata quando si tratta dell’asilo: un tempo i rifugiati in Europa erano soprattutto persone colte, intellettuali, artisti o voci dissenzienti che appartenevano alle élite dei Paesi di origine.

L’asilo, e a maggior ragione il soccorso in mare, non è motivato dalla povertà e neppure dalle condizioni di salute, ma è un diritto umano motivato dalla vulnerabilità delle persone interessate, dai rischi che correrebbero se non venissero prima soccorse e poi almeno provvisoriamente accolte.

L’altro deprecabile ma insistente argomento polemico indirizzato contro chi si espone a favore dell’accoglienza, specie quando si tratta di persone note al grande pubblico, chiama in causa il loro impegno diretto nei confronti dei rifugiati: “Quanti ne accogli a casa tua?”. L’ultimo bersaglio in ordine di tempo è stata l’attrice Luciana Littizzetto, che ha peraltro saputo rintuzzare l’attacco sulla base di un encomiabile curriculum di impegno sociale.

Di nuovo però, la logica sottostante rivela la sostituzione della compassione ai diritti umani: se ti fanno tanta pena, accoglili tu, con i tuoi beni e sopportandone il presunto disagio. E come se, di fronte a chi chiede più attenzione ai malati o alle persone con disabilità, si rispondesse di provvedere a loro con le proprie sostanze.

Surrettiziamente si abbandona la logica dello Stato sociale, chiamato a rispondere alle varie necessità – incluse quelle umanitarie – redistribuendo le risorse raccolte con il prelievo fiscale, per tornare a forme di carità discrezionale.

Di fronte a questo deterioramento della cultura civile oltre che giuridica – che su queste pagine si è continuato per un verso a denunciare e sottolineare e per l’altro a contraddire di speranza e buon diritto indicando esempi positivi e buone pratiche – sorge spontanea una richiesta: se davvero si formerà un nuovo Governo, improntato a una visione politica ben diversa dal Governo precedente, ponga tra i suoi primissimi atti un ripristino dell’impegno del nostro Stato nella tutela dei diritti umani.

Maurizio Ambrosini        Avvenire  22/8/2019

 

Vedi:  Il governo riparta dalla Costituzione

Non è l'Italia sognata dai partigiani.

È finito il governo più incompetente della nostra storia. Il prossimo sarà peggio.

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