Anche Elena Ferrante aderisce a “La Storia è un bene comune”, l’appello di Andrea Camilleri, Andrea Giardina, e Liliana Segre lanciato due giorni fa su “Repubblica”. Un sì, quello della scrittrice italiana più amata nel mondo, che arriva in un giorno di fortissima mobilitazione: si aggiungono fra i tanti la presidente dell’Anpi Carla Nespolo; il segretario della Cgil Maurizio Landini; filosofi come Massimo Cacciari; editori come Carlo Feltrinelli. Le firme sono già numerosissime, qui riusciamo a pubblicarne solo una parte. Ma recupereremo tutte le altre  nei prossimi giorni: la battaglia per non “dismettere” lo studio del passato a scuola continua. Ecco il testo del documento:

La storia è un bene comune. La sua conoscenza è un principio di democrazia e di uguaglianza tra i cittadini. E un sapere critico non uniforme, non omogeneo, che rifiuta il conformismo e vive nel dialogo. Lo storico ha le proprie idee politiche ma deve sottoporle alle prove dei documenti e del dibattito, confrontandole con le idee altrui e impegnandosi nella loro diffusione.

Ci appelliamo a tutti i cittadini e alle loro rappresentanze politiche e istituzionali per la difesa e il progresso della ricerca storica in un momento di grave pericolo per la sopravvivenza stessa della conoscenza critica del passato e delle esperienze che la storia fornisce al presente e al futuro del nostro Paese.

Sono diffusi, in molte società contemporanee, sentimenti di rifiuto e diffidenza nei confronti degli “esperti”, a qualunque settore appartengano, la medicina come l’astronomia, l’economia come la storia. La comunicazione semplificata tipica dei social media fa nascere la figura del contro-esperto che rappresenta una presunta opinione del popolo, una sorta di sapienza mistica che attinge a giacimenti di verità che i professori, i maestri e i competenti occulterebbero per proteggere interessi e privilegi. I pericoli sono sotto gli occhi di tutti: si negano fatti ampiamente documentati; si costruiscono fantasiose contro-storie; si resuscitano ideologie funeste in nome della deideologizzazione.

Ciò nonostante, queste stesse distorsioni celano un bisogno di storia e nascono anche da sensibilità autentiche, curiosità, desideri di esplorazione che non trovano appagamento altrove. E necessario quindi rafforzare l’impegno, rinnovare le parole, trovare vie di contatto, moltiplicare i luoghi di incontro per la trasmissione della conoscenza. Ma nulla di questo può farsi se la storia, come sta avvenendo precipitosamente, viene soffocata già nelle scuole e nelle università, esautorata dal suo ruolo essenziale, rappresentata come una conoscenza residuale, dove reperire al massimo qualche passatempo.

I ragazzi europei che giocano sui binari di Auschwitz offendono certo le vittime, ma sono al tempo stesso vittime dell’incuria e dei fallimenti educativi. Il ridimensionamento della prova di storia nell’esame di maturità, l’avvenuta riduzione delle ore di insegnamento nelle scuole, il vertiginoso decremento delle cattedre universitarie, il blocco del reclutamento degli studiosi più giovani, la situazione precaria degli archivi e delle biblioteche, rappresentano un attentato alla vita culturale e civile del nostro Paese.

Ignorare la nostra storia vuol dire smarrire noi stessi, la nostra nazione, l’Europa e il mondo. Vuol dire vivere ignari in uno spazio fittizio, proprio nel momento in cui i fenomeni di globalizzazione impongono panorami sconfinati alla coscienza e all’azione dei singoli e delle comunità. Per questo cittadini di vario orientamento politico ma uniti da un condiviso sentimento di allarme si rivolgono al governo e ai partiti, alle istituzioni pubbliche e alle associazioni private perché si protegga e si faccia progredire quel bene comune che si chiama storia e chiedono

CHE LA PROVA DI STORIA VENGA RIPRISTINATA NEGLI SCRITTI DELL’ESAME DI STATO DELLE SCUOLE SUPERIORI

CHE LE ORE DEDICATE ALLA DISCIPLINA NELLE SCUOLE VENGANO INCREMENTATE E NON ULTERIORMENTE RIDOTTE

CHE DENTRO L’UNIVERSITÀ SIA FAVORITA LA RICERCA STORICA, AMPLIANDO L’ACCESSO AGLI STUDIOSI PIÙ GIOVANI


Eraldo Aflnati, scrittore Michele Ainis, giurista Luigi Ambrosio, matematico Mario Andreose, editore Alberto Asor Rosa, storico della letteratura Corrado Augias, scrittore Alessandro Barbero, storico Marco Belpoliti critico letterario Alfonso Berardinelli, critico letterario Alessandro Bergonzoni, regista e scrittore Maurizio Bettini, filologo Piero Bevilacqua, storico Enzo Bianchi, teologo, fondatore della Comunità monastica di Bose Piero Boitani, filologo Angelo Bolaffi, germanista Ginevra Bompiani, scrittrice ed editrice Francesco Bonami, critico d’arte Achille Bonito Oliva, critico d’arte Paolo Di Paolo, scrittore Eugenia Dubini, editrice Roberto Esposito, filosofo Carlo Feltrinelli, editore Amedeo Feniello, storico Elena Ferrante, scrittrice Andrea Ferrara, cosmologo Maurizio Ferraris, filosofo Sandra Ferri, editrice Sandro Ferri, editore Luca Formenton, editore Ernesto Franco, editore Edgardo Franzosini, scrittore Stefano Gasparri, storico Flaminia Gennari Santori, direttrice delle Gallerie Nazionali d’arte antica di Roma Umberto Gentiloni, storico Fabrizio Gli, attore e regista Paolo Giordano, scrittore Andrea Graziosi, storico Vittorio Gregotti, architetto Giordano Bruno Guerci, storico Augusto Guida filologo Giancarlo Bosetti, politologo Ezio Bosso, compositore e direttore d’orchestra Massimo Cacciari, filosofo Fulvio Cammarano, storico Luciano Canfora, storico Eva Cantarelli, storica Francesca Cappelletti, storica dell’arte Andrea Carandini, archeologo Franco Cardini, storico Luciana Castellina, scrittrice Gianrico Carofiglio , scrittore Gioachino Chiarivi, filologo Simona Colarizi, storica Anna Coliva, direttrice della Galleria Borghese Federico Condello filologo Guido Crain , storico Enrico Deaglio, giornalista e scrittore Giancarlo De Cataldo, scrittore Giovanni De Luna, storico Donatella Della Porta, sociologa Ilvo Diamanti, politologo Ivano Dionigi, latinista Igort, fumettista e regista Helena Janeczek, scrittrice Matteo Lafranconi, storico dell’arte Nicola Lagioia, scrittore Maurizio Landini, leader della Cgil Alessandro Laterza, editore Giuseppe Laterza, editore Eugenio La Rocca, archeologo Matteo Levi, produttore cinetelevisivo Gad Lerner, giornalista e scrittore Fittorio Lingicurli psicoanalista Eugenio Lo Sardo, archivista Maurizio Maggiani, scrittore Agnese Manni, editrice Arnaldo Marcone, storico Michele Mari, scrittore Michela Marcano, filosofa Luigi Mascilli Migliorini, storico Stefano Massini, scrittore e drammaturgo Flavia Matitti, storica dell’arte Paolo Mattenz, storico Paolo Matthiae, archeologo Stefano Maurt editore Melania Mazzucco, scrittrice Alberto Melloni, storico Michela Murgia, scrittrice Luisa Musso, archeologa Giuseppina Muzzarelli, storica Carla Nespolo, presidente dell’Anpi Marino Niola, antropologo Antonella Monino, imprenditrice Alberto Olivetti, docente di estetica all’Università degli studi di Siena Carlo Olmo, storico dell’architettura Anna Ottani Cavina, storica dell’arte Tullio Pericoli, artista Carlo Petrini, attivista e fondatore di Slow Food Antonio Pinelli, storico dell’arte Lorena Preta, psicoanalista Giusepp e Pucci, archeologo Alberto Rollo, scrittore e consulente editoriale Massimo Recalcati, psicoanalista Silvia Ronchey, storica e scrittrice Enrico Selva Coddè, editore Roberto Saviano, scrittore Michele Serra, giornalista e scrittore Antonio Scurati, scrittore Vittorio Sgarbi, critico Marino Sinibaldi, direttore Radio Tra Claudio Strinati, storico dell’arte Benedetta Tobagi. scrittrice Mariapia Feladiano, scrittrice Francesco Fezzoli, artista Gustavo Zagrebelsky, giurista Ferdinando Zucconi Galli Fonseca, ex presidente di Cassazione Giovanna Zucconi, giornalista.

in   Repubblica Robinson  28 aprile 2019

 

 

Una storia senza la Storia

Dopo il successo della raccolta di firme (che continua) del manifesto in difesa dell’insegnamento della Storia lanciato da Andrea Giardina, Liliana Segre e Andrea Camilleri, abbiamo chiesto a uno dei migliori scrittori italiani di immaginare una pièce distopica in cui non si studia più il passato. II finale? Da brividi

Cari studenti, una nuova materia: la Versione dei Fatti

Anno: 2039. Titolo del pensierino: “Una cosa che mi ha molto colpito”. Svolgimento: Se io dovessi dire una cosa che mi ha molto colpito, quella sarebbe senza dubbio la cosa che mi ha raccontato il mio papà ieri sera. Lui mi ha fatto vedere un vecchissimo libro dell’anno 2019, di quando andava a scuola e c’era ancora una materia da studiare che si chiamava Storia.

In quel libro, infatti, c’erano scritte un sacco di cose successe nei secoli passati, ma la cosa più incredibile è che tutta quella roba la dovevano imparare come se fosse successa per davvero. Il loro maestro gli chiedeva: «Chi vinse la battaglia di Waterloo?», oppure «Adolf Hitler fu il responsabile della disfatta tedesca nel secondo conflitto mondiale?» e c’era una sola risposta possibile, perché gli veniva insegnato che la storia è una cosa seria.

Allora ho capito che lì sta la differenza fra quel libro buffissimo e la materia nuovissima che invece oggi studiamo noi, cioè la Versione dei Fatti: il mio maestro di Versione dei Fatti ci ha sempre detto, fin dal primo giorno di scuola, che il fondamento della sua disciplina è che niente mai è accaduto sul serio, e ci sono solo versioni diverse e opposte, che vanno accettate entrambe, e ogni epoca sceglie quella che vuole. Io sono il più bravo della classe, in Versione dei Fatti, e ho avuto 9 in pagella. È la mia materia preferita.

Diciamo che ho imparato il trucco: ogni volta che il maestro mi chiede per esempio: «Adolf Hitler fu il responsabile della disfatta tedesca nel secondo conflitto mondiale?» io comincio sempre la risposta con «Dipende», dopodiché aggiungo che ogni disfatta è anche un’occasione, quindi Adolf Hitler è anche il creatore della floridità tedesca degli anni a venire, e dovrebbero fargli un monumento.

Il mio maestro, a questo punto, sorride di gioia, e passa a chiedermi qualcosa di ancora più difficile come «ti risulta vero che milioni di africani furono usati come schiavi nelle piantagioni americane?». Io anche qui lancio il mio «Dipende», e poi vado giù dicendo che se gli indigeni africani avessero avuto loro il potere commerciale, non ci avrebbero pensato due volte a schiavizzare i bianchi, e anzi magari lo fecero pure, solo che nessuno in Africa scrisse mai La capanna dello zio Tom in cui lo zio Tom era — che ne so? — norvegese, ragione per cui questa tiritera della schiavitù è tutta da dimostrare, e anzi i neri d’America ci hanno costruito sopra un furbo metodo per farsi compatire e scalare il successo come politici e rapper.

Insomma: se io ho 9 in pagella, è perché riesco sempre a ribaltare tutti i fatti, trovando il modo di interpretarli all’opposto. Sono talmente bravo che il maestro mi ha incaricato di aiutare il mio compagno di banco, che in pagella si è trovato un 2 in Versione dei Fatti. Si chiama Peter, e non riesce a entrargli in testa l’idea che la Storia è un concetto marcio e superato.

Peter è uno che se gli citi Gandhi, ci casca subito e ti dice: «Quello che mise in crisi il colonialismo inglese in India». Guai a spiegargli che c’è il rovescio della medaglia, e quindi Gandhi fu il bastardo che fece morire tanti inglesi di crepacuore perché gli toglievano il Taj Mahal, e poi se l’India fosse rimasta britannica non sarebbe diventata una potenza nucleare, per cui Gandhi è uno sponsor delle armi atomiche.

Ecco: io adesso ho avuto l’incarico, tutti i giorni, di studiare insieme a Peter inculcandogli in testa che i fatti del passato non valgono mai in assoluto, ma siccome la Storia non esiste, possono essere usati per dimostrare tutto ciò che vuoi, a tuo piacimento.

I primi risultati li comincio a vedere. L’altro giorno gli ho chiesto: «Dimostrami che il riscaldamento climatico non è colpa degli uomini ma è volontà di Dio». Lui sul momento ci ha pensato, poi mi ha stupito: «Direi che è volontà di Dio perché cominciò quando eretici e streghe li bruciavano sul rogo, e ne bruciavano così tanti che la temperatura si alzò di vari gradi». L’ho abbracciato: bravo Peter. Peccato che dopo un attimo mi abbia guardato fisso, e quasi vergognandosi abbia sussurrato: «Ma io me lo sono inventato». Vabbè, se si impegna di più, supererà anche questo.

Stefano Massimi       La Repubblica  29/4/2019

 

Vedi:  "L'Italia non ha mai chiesto scusa alla sua Africa"

Pensiero Urgente n.216)

La storia come maestra di vita non è più la bussola dei politici

La memoria e la storia

La memoria necessaria


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