Mentre a Roma il professor Conte faceva il suo discorso di investitura alle Camere e riceveva il sostegno di una coalizione giallo-verde e un poco nera, a Madrid nasceva il nuovo governo a guida socialista (primo in Europa con una maggioranza di ministre) dopo le dimissioni del conservatore Rajoy, sfiduciato dal Parlamento dopo una sentenza per corruzione che ha coinvolto il suo partito. Sánchez, il leader socialista del nuovo governo spagnolo, ha rifiutato di giurare sulla Bibbia.

Salvini, uno dei due leader del nostro governo, ama sventolare il Vangelo e il rosario. La differenza tra i due Paesi non riguarda solo il colore del governo. La Spagna non ha mai cessato di avere un Partito socialista che non disdegna di identificarsi con le idee socialiste.

Difficile dire cosa sia il nostro Partito democratico, che sembra aver scelto questo aggettivo per non doversi più qualificare. In Italia vi è timidezza per non dire ostilità a dichiararsi di sinistra — i leader del Pd preferiscono termini come “progresso” o “innovazione”; la loro aspirazione è stata sciogliere i lacci del pubblico, non solo quelli obsoleti di una burocrazia arrugginita, ma anche quelli che servono a limitare il potere di chi ha più potere; hanno alleggerito i diritti del lavoro e tolto risorse alla scuola; hanno ignorato aree del Paese.

Insieme all’aggettivo “socialista” hanno rinunciato a politiche socialdemocratiche. Anche se Renzi è stato velocissimo ad aderire al Partito socialista europeo, si sono ben guardati dall’usare l’aggettivo socialista. Il linguaggio nomina e crea. L’assenza del nome rende la cosa che quel nome designa evanescente.

L’assenza della parola socialismo dal vocabolario della sinistra italiana, non solo del Pd, denota la trascuratezza di alcuni principi: uguaglianza di condizione per godere di una cittadinanza non fittizia; solidarietà con chi ha bisogno di intervento sociale, non per elargire pochi denari ma per “rimuovere gli ostacoli” che impediscono di godere della libertà che i diritti riconoscono; libertà di progettare e fare, di respirare a pieni polmoni la condizione umana.

Insieme a questi nomi di principi sono stati accantonati i nomi di condizioni problematiche. Non si parla di sfruttati, di cittadini privati di una vita dignitosa; si parla invece di umili e ultimi, termini manzoniani che inducono alla carità, incapaci di ispirare contestazione ed emancipazione.

Le parole designano un mondo insieme a ciò che nominano, la loro assenza indica l’assenza della volontà creatrice di quel mondo.

In tempi difficili, le parole potrebbero portare alla superficie la tradizione liberalsocialista che le ha coltivate, una ricchezza della quale vi è bisogno per poter dire perché ha senso essere di sinistra. Vi è bisogno ora, che alla sinistra spetta l’opposizione a una maggioranza che si è appropriata di esigenze tradizionalmente di sinistra.

Il socialismo è un’idea nobile, che fa della libertà e dignità della persona il principio di riferimento in relazione al quale diagnostica e denuncia l’arbitrio. Chi voglia andare ai fondamenti dell’idea di giustizia, scriveva Carlo Rosselli nel 1930, incontrerà la libertà perché incontrerà il valore della persona.

La sinistra ha una lingua, una storia, autori e libri sulla visione socialista. La quale è nata come rivolta morale contro l’ingiustizia economica e sociale, contro il potere dei pochi sui molti; si è servita dei movimenti politici per denunciare l’ingiustizia, ma anche per correggerla, quando era sfruttamento, discriminazione contro i diversi e intolleranza.

Nadia Urbinati     Repubblica 9.6.18

 

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