Il 23 maggio 1923 muore dopo una lunga malattia a Milano NICOLA BARBATO ( 67 anni, Kola Barbati in albanese) medico, giornalista, politico socialista e tra i capi dei Fasci Siciliani dei Lavoratori.

Barbato nacque a Piana degli Albanesi (PA), un paese formato in gran parte di poveri braccianti agricoli di origine albanese: da  ragazzo perdette il padre ed ebbe una infanzia e una prima giovinezza non facili. Studiò nel Seminario greco-albanese, con difficoltà per le ristrettezze economiche della famiglia arrivando comunque brillantemente fino all’Università, che frequentò a Palermo e dove si iscrisse ai corsi di Medicina.

Barbato venne subito coinvolto nell’ambiente culturale palermitano molto vivace ed entrò in contatto con gruppi studenteschi e operai aderenti al socialismo e impegnati a promuovere conferenze e fogli di propaganda. Conseguita la laurea, lavorò presso l’Ospedale di Palermo, dove alla cura dei pazienti unì gli studi di psichiatria. Iniziò la sua attività di giornalista insieme all’impegno di medico condotto nel paese natale: così conobbe la miseria di tanti e si trovò naturalmente tra quanti ai primi degli anni 90 si aggregavano nel movimento dei Fasci siciliani dei lavoratori ( nati a Messina nel 1888).

Nel marzo del 1893 promosse il Fascio di Piana dei Greci, che presto contò più di 2.000 aderenti, tra i quali c’era un folto gruppo di donne vivaci e combattive. Attivo anche in altri comuni, Barbato divenne popolarissimo, e presto fu in primo piano in tutta la provincia di Palermo insieme a BERNARDINO VERRO (1866- 1915).

Attraverso un discorrere  semplice, ricco di sentimento e animato da forte passione nei suoi comizi parlava ai lavoratori di socialismo, di giustizia e di libertà, e il suo messaggio di liberazione era sempre ascoltato con totale attenzione e suscitava volontà di lotta per una vita più umana e più giusta.

L’azione dei gruppi di potere volta a contrastarlo non tardò. Sotto il governo di sinistra Crispi egli venne arrestato il 12 maggio del 1893 con l’accusa di odio tra le classi e associazione a delinquere e nel successivo novembre venne condannato a 6 mesi di reclusione e a una forte pena pecuniaria. Per questo fatto non potè partecipare ai congressi dei Fasci e del Partito socialista tenuti a Palermo il 21 e 22 maggio, che portarono alla costituzione ufficiale del Movimento e del Partito nell’isola con regolari organi di direzione, ma i delegati non lo dimenticarono e lo elessero membro del Comitato centrale del Partito socialista.

Barbato credeva nel gradualismo socialista e nella rivoluzione socialista quando le masse avessero raggiunto una piena coscienza, per questo una delle sue più grandi preoccupazioni era di costituire un’intensa educazione popolare insieme ad un forte impegno sul campo. Per lui la fratellanza, l’uguaglianza e l’educazione dovevano essere gli strumenti utili per arrivare all’emancipazione della classe contadina.

Barbato intensifico l’attività organizzativa, che produsse un vasto movimento che chiedeva  aumenti salariali, il rinnovo migliorativo dei contratti agrari, l’alleggerimento del gravame fiscale in favore degli strati popolari. Il governo Crispi rispose con lo stato d’assedio, proclamato il 25 dicembre del ’93, lo scioglimento dei Fasci, l’arresto dei capi per cospirazione contro i poteri dello Stato e incitamento alla guerra civile.

Processo ai capi dei Fasci nel 1894, tra loro Nicola Barbato.

Portato davanti al Tribunale militare di Palermo nel 1894, Barbato pronunziò una difesa che fu una accusa contro la classe dominante, ancor oggi considerata, per contenuto e passione, tra le cose più belle nella vicenda del socialismo italiano. Come molti dei suoi compagni, venne condannato a 12 anni di reclusione e a due anni di vigilanza speciale.

Nonostante le proteste in tutta Italia ed anche all’estero per le pesanti condanne inflitte, Barbato e gli altri ritrovarono la libertà solo il 16 marzo 1896, a seguito dell’amnistia proclamata dal governo Rudinì subentrato a quello di Crispi dopo la disfatta italiana ad Adua in Etiopia (1896).

Successivamente Barbato si impegnò nella organizzazione del partito socialista, rendendosi presente in tutta la Sicilia per tenere appassionate conferenze e riunioni orientative: famosi rimangono i suoi comizi a Portella della Ginestra, luogo storico di riunione dei contadini della zona. La ripresa della sua attività politica gli causò comunque ulteriori problemi con le autorità di Polizia (che lo indicavano sempre come incitatore all’odio di classe) e con il capomafia della zona di Piana degli Albanesi Francesco Cuccia.

Nel 1900 entrò nella Direzione nazionale del PSI; contemporaneamente venne eletto deputato del collegio di Corato di Puglia (BA), e iniziò in quella regione, tanto simile alla sua terra natale, un rapporto destinato a consolidarsi attraverso l’attività propagandistica e organizzativa.

Negli anni della Grande Guerra, coerente con la sua posizione di internazionalista e pacifista, Barbato fu assolutamente contrario al conflitto in generale e all’intervento dell’Italia, prevedendo l’inutile spargimento di sangue e le disastrose conseguenze politiche che avrebbe provocato. Ciò concorse a far sì che nelle nuove elezioni del 1919 venisse eletto con molti voti deputato per il collegio di Bari.

Barbato fu contrario alla scissione comunista del gennaio 1921, nel congresso di Livorno, al quale non partecipò personalmente appoggiando la linea della continuità del vecchio partito socialista.

Ma per le gravi minacce mafiose che s’intensificavano nei suoi confronti  Barbato  fu costretto, per ordine del Partito Socialista, a trasferirsi a Milano dove, il 23 maggio 1923, dopo una lunga malattia, morì povero come tanti suoi discepoli. L’orazione funebre fu tenuta da un giovane PIETRO NENNI (1891- 1980). I resti di Barbato riposano nel cimitero di Piana degli Albanesi.

Barbato decise di autodifendersi durante il processo subito il 26 aprile 1894 davanti al Tribunale militare e il suo discorso è ancora oggi un esempio mirabile di dignità e umanità:

“Persuadevo dolcemente i lavoratori morenti di fame che la colpa non è di alcuno; è del sistema… Perciò non ho predicato l’odio agli uomini ma la guerra al sistema. (…) Davanti a voi abbiamo fornito i documenti e le prove della nostra innocenza; i miei compagni hanno creduto di dover sostenere la loro difesa giuridica; questo io non credo di fare. Non perché non abbia fiducia in voi, ma è il codice che non mi riguarda.

Perciò non mi difendo. Voi dovete condannare: noi siamo gli elementi distruttori di istituzioni per voi sacre. Voi dovete condannare: è logico, umano. Io renderò sempre omaggio alla vostra lealtà. Ma diremo agli amici che sono fuori: non domandate grazia, non domandate amnistia. La civiltà socialista non deve cominciare con un atto di viltà. Noi chiediamo la condanna, non chiediamo la pietà.

Le vittime sono più utili alla causa santa di qualunque propaganda. Condannate!”


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