Il 3 novembre del 1915  muore a Corleone (PA) ucciso a colpi di rivoltella dalla mafia BERNARDINO VERRO (49 anni) sindacalista, politico e sindaco di Corleone.

Verro nacque a Corleone e da ragazzo venne espulso dalle scuole del Regno; trovò un lavoro all’ufficio anagrafe bestiame del Comune ma venne licenziato per aver fondato nel 1892 un circolo di ispirazione repubblicana, “La Nuova Età”; infine si iscrisse al neonato Partito socialista

In Italia, da poco unificata e in un Mezzogiorno ancora profondamente agricolo e latifondista, la terra era un bene per pochi. Proprietari terrieri e gabellotti facevano il bello e il cattivo tempo della situazione. E ai contadini era concesso solo di lavorare con grande fatica e poca remunerazione.

Ma la Sicilia nonostante tutto era fucina di idee, luogo di esperimenti politici e sociali. Negli ultimi decenni dell’Ottocento sorsero spontaneamente nell’isola movimenti di protesta che interessavano una  grande fetta di popolazione: braccianti ma anche proletariato urbano e “zolfatai”, ossia i minatori delle cave di zolfo di cui era ricca la regione.

Il primo movimento di cui si ha notizia è quello di Messina, nato nel dicembre del 1888, poi nel 1891 e nel 1892 a Catania e a Palermo si proclamarono i “Fasci dei lavoratori”, animati da una profonda utopia: ristabilire un ordine democratico nell’isola e assicurare un miglioramento alle condizioni di vita del popolo siciliano. Non appena si inventò il termine “Fasci” proliferarono però nell’isola associazioni dall’omonimo nome controllate direttamente da baroni o proprietari terrieri attraverso il circuito mafioso.

Anche per  i delinquenti comuni vi fu la possibilità di entrare in contatto con le classi dei lavoratori. La previsione era quella di unire l’intera classe proletaria, sottraendo ai canali dell’illegalità anche i criminali di strada per indebolire o far scomparire la mafia. In quel periodo Verro affermò:

Siccome non sono che pochi questi pregiudicati e condannati per qualche piccolo furto campestre, li accettiamo nel Fascio come a Piana dei Greci, per renderli migliori. Da che esiste il Fascio, infatti, abbiamo qui una grande diminuzione della delinquenza. Non avvengono quasi più liti, perché quasi tutte le questioni si accomodano al Fascio dove facciamo spesso da retori e da giudici conciliatori“.

Verro all’epoca era diventato capo dei Fasci di Corleone, da lui stesso creati, per chiedere e ottenere una più equa ripartizione dei proventi della terra tra proprietari terrieri e contadini: egli credeva fortemente nel socialismo e negli ideali di questo movimento culturale prima che politico.

Nell’aprile del 1893 accolse l’invito di un “fratuzzo” (i membri della mafia corleonese) di far parte dell’organizzazione mafiosa seguendo i normali i normali rituali di affiliazione. Per la mafia accettare al proprio interno il leader dei Fasci significava essere pronti a reagire ai cambiamenti che si sarebbero potuti verificare nel futuro.

Verro entrò a far parte della mafia perché era stato minacciato di morte da alcuni proprietari terrieri: venne a sapere che un’organizzazione segreta avrebbe potuto difenderlo se solo egli avesse evitato di mettere in cattiva luce alcune note personalità locali. Egli accettò l’offerta e lo fece perché, probabilmente, non aveva ancora compreso quanto potente e pericolosa fosse la mafia. Quando se ne accorse si pentì amaramente per tutta la vita della scelta effettuata

Il 31 luglio 1893 a Corleone vennero stipulati i “Patti colonici”, definiti come il primo contratto sindacale scritto nell’Italia capitalistica. Tuttavia non tutti i proprietari terrieri li approvarono. Quelli più ricchi che potevano contare sulla borghesia mafiosa – potere in grado di “contrattare” i propri servigi – rifiutarono di attuarli.

Verro aveva tutte le caratteristiche per essere un leader. Sapeva parlare ai contadini e non a caso fu lui a organizzare il primo sciopero contadino di massa nella storia dell’Italia: nel corso del 1893 un grande sciopero agrario, cominciato ad agosto e che durerà fino a novembre raccogliendo più di 50.000 contadini, vede Verro alla testa delle lotte, mentre i fratuzzi boicottano lo sciopero, organizzano il crumiraggio e le strade si dividono. I mafiosi allora considerarono Verro un traditore ma, temendo soprattutto le sue doti di organizzatore, rimandarono una vendetta che prima o poi sarebbe stata eseguita.

Verro cercò in tutti i modi di tenere alla larga dal Fascio di Corleone i mafiosi ma non fu per nulla semplice. Egli capì che non c’erano speranze che il movimento contadino e la mafia potessero giungere ad un accordo in grado di soddisfare entrambe le parti.

Il governo, intanto, tramite la legge marziale e l’invio di 50.000 soldati aveva imposto lo scioglimento dei Fasci: alla fine del 1893 e nei primi giorni del ’94 il movimento dei Fasci si conclude nel sangue, con più di 100 morti per mano delle forze dell’ordine, su ordine del capo del governo di sinistra (!!) Francesco Crispi e dei campieri mafiosi. Inoltre la Chiesa prese le difese del potere politico mafioso e si scagliò contro i “mestatori anarchici e socialisti”.

Tutti i capi dei Fasci vennero arrestati e con loro anche chi li appoggiava. Iniziarono processi non solo iniqui, ma essi stessi illegali: erano processi tenuti dal Tribunale di guerra istituito senza voto parlamentare. Le accuse: cospirazione contro lo Stato, incitazione alla guerra civile, strage, saccheggio. Quindi nel 1894 Bernardino Verro fu arrestato anche lui con l’accusa di aver incitato alla guerra e aver cospirato. Il tribunale militare lo condannò a 12 anni di reclusione. Nel 1896 grazie ad un’amnistia fu rilasciato.

Rientrò a Corleone e costituì la Federazione della terra che venne sciolta. Subì un’altra condanna e si recò in America a predicare gli ideali socialisti. Al ritorno a Corleone fondò una cooperativa di consumo. Venne eletto al consiglio comunale. In seguito a una condanna per alcuni articoli pubblicati sul foglio “Lu Viddanu” andò in esilio in Tunisia e a Marsiglia e ritornò nei primi mesi del 1905. Nel giugno del 1906 fondò l’Unione agricola per gestire l’affittanza collettiva, che sostituì il gabellotto mafioso con la cooperativa contadina.

Intanto la mafia non riponeva le armi: nell’ottobre 1905 uccise il contadino socialista LUCIANO NICOLETTI, nel gennaio del 1906 ANDREA ORLANDO, medico socialista, nel 1911 a S. Stefano Quisquina cadrà LORENZO PANEPINTO, dirigente socialista. Ma i mafiosi non usarono solo la violenza, fecero politica controllando l’amministrazione di Corleone e la cassa rurale cattolica S. Leoluca. Verro denunciò le collusioni e nel 1910 all’uscita da una farmacia riuscì miracolosamente a scampare ad un attentato

Verro non si faceva problemi neanche a denunciare i legami tra la chiesa e la mafia. Il clero locale, che si opponeva fortemente al socialismo, trovò nelle organizzazioni criminali un solido alleato mentre per la mafia la chiesa aveva la stessa importanza della politica ovvero uno strumento da utilizzare per le proprie finalità.

Verro nel 1911 fu arrestato con l’accusa di truffa mentre si candidava a sindaco di Corleone: l’accusa era solo una montatura, ordita per screditarne l’immagine e bloccarne la carriera politica. Uscito dal carcere nel 1913, la mafia si accorse di quanto ancora Verro fosse amato dai contadini, sebbene da più parti lo ritenessero ormai un uomo fuori dai giochi.

Contando, appunto, sull’appoggio dei contadini i quali, grazie al suffragio universale maschile appena approvato, avrebbero da quel momento in poi potuto far valere il loro diritto di voto, Verro si rimise in gioco e fu eletto sindaco di Corleone nel 1914. Per i mafiosi Verro sindaco era molto più pericoloso del Verro organizzatore delle lotte contadine.  Infatti il clima a Corleone  cambiò: dietro gli arresti e le proposte di ammonizione che cominciano a fioccare c’era l’impegno di un sindaco che “si è dato anima e corpo alla questura”, diranno alcuni mafiosi.

Egli si oppose, inoltre,  all’entrata in guerra dell’Italia nel 1915. Verro, però, non avrebbe potuto vedere come sarebbe terminata la guerra per gli italiani: un sindaco socialista, pacifista, che difendeva i lavoratori era troppo e non più tollerabile.

Lapide sul luogo dell'uccisione di Verro a Corleone

Nel primo pomeriggio del 3 novembre 1915 Verro, uscito dal municipio, si stava dirigendo verso casa dove lo attendevano la compagna e la figlioletta di circa un anno. Aveva appena mandato via i due vigili urbani che lo scortavano quando due sicari lo raggiunsero e lo colpirono con undici colpi di rivoltella, di cui quattro sparatigli a bruciapelo al capo, che lo uccisero.

Quando partirono le indagini la polizia ritrovò la dichiarazione scritta di Verro nella quale raccontava la sua storia e quella sua adesione alla mafia di cui tanto si vergognava e della quale non aveva fatto parola a nessuno. Tredici persone vennero rinviate a giudizio come mandanti dell’assassinio, ma il processo, iniziato il 4 maggio del 1918, si concluse – incredibilmente – con la richiesta del pubblico ministero, che il tribunale immediatamente accolse, di assolvere tutti gli imputati per non aver commesso il fatto. Gli esecutori materiali del delitto non furono mai scoperti.

La memoria di Verro ha stentato a farsi strada nonostante che i contadini stessi nel 1917 si adoperassero costruendo un busto di Verro che fu posto in una delle piazze principali di Corleone. Il busto verrà trafugato nel 1925 e mai più ritrovato. Nel 1992 la storia si ripetè: il sindaco di Palermo Orlando fece erigere un nuovo busto raffigurante Verro ma il monumento venne distrutto due anni dopo. Un nuovo busto è stato collocato nella piazza principale di Corleone nel centenario dell’assassinio, nel 2015.

Bernardino Verro venne tumulato in un loculo nel cimitero di Corleone e il 23 marzo 1959 venne traslato, a cura della figlia, nella tomba di famiglia del cimitero a Palermo ma, si pensa volutamente, ciò non venne segnalato nei registri cimiteriali corleonesi e né le sue generalità né la sua fotografia furono rimosse dalla lapide.

Ignorando tutto questo, nel 2012 il Comune di Corleone decise di restaurare nel proprio cimitero due antiche cappelle gentilizie contigue in disuso e di donarle alla CGIL: una destinata ad accogliere Verro, l’altra destinata ad accogliere i resti di PLACIDO RIZZOTTO, da poco ritrovati.

Pronte le cappelle, il 2 novembre 2012, alla vigilia della traslazione, si ebbe la certezza non solo che Verro non riposava più a Corleone, ma anche che ignoti, da tempo, avevano tumulato nel medesimo suo ex loculo due cadaveri di uomini forse legati alla mafia, di cui uno con un foro in testa: probabilmente Calogero Bagarella, fratello del boss Leoluca, killer morto nel 1969 durante un regolamento di conti tra mafiosi. Lo sfregio più grave che si potesse fare a Verro!

Alberto Spampinato, giornalista (fratello di GIOVANNI, anche lui giornalista, ucciso dalla mafia nel 1972), ha scritto:

“Per non darla vinta ai mafiosi e ai violenti di ogni risma, è necessario che nessuna vittima dell’ingiustizia diventi un nome senza storia…

 

vedi: Un contadino sovversivo: NICOLA ALONGI

 

 

Vedete il nostro video  ” Il dovere della Memoria“: QUI

 



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