Cosa possiamo fare per non rassegnarci a tanto male.

Irrilevanti. Così ci sentiamo di fronte agli avvenimenti del mondo che ci turbano. Non tanto le piccolezze della nostra politica, ma ben oltre, il Male che sembra prevalere e vediamo riflesso nello sguardo perso dei reporter nell’attimo della decapitazione.  Irrilevanti. Uno stato d’animo ben diverso dalla consapevolezza del nostro minimo ruolo nei giochi del mondo, dalla necessaria umiltà. Siamo impotenti di fronte alla follia dell’Isis di cui ci sfuggono le vere radici, pur se capiamo che oltre la lotta tra sunniti e sciiti si nascondono petrolio e denaro, cui i governi occidentali non sono estranei. Smarriti davanti all’ebola, alle stragi di Boko Haram in paesi che abbiamo abbandonato alla disperazione. Sgomenti per la crisi mediorientale, dove anche le nostre colpe passate nei confronti degli ebrei ci paralizzano. Confusi per la crisi ucraina, dove il satrapo Putin ha sfruttato errori della maldestra politica europea e americana.

Vorremmo che questo articolo non fosse solo un commento, ma un colloquio con voi. Per chiederci insieme come affrontare l’irrilevanza cui siamo condannati. “Tutte le mattine del mondo”, si intitola un film francese del 1991. Racconta della rivalità tra i musicisti Marin Marais e de Sainte Colombe che porta Marais a ritirarsi nella solitudine, combattuto tra aspirazione alla fama e desiderio di vivere di sola musica; eppure Marais intuiva, oltre i confini del suo giardino, tutte le mattine del mondo. E componeva capolavori. Forse, per cominciare, dovremmo cercare di vedere oltre la siepe tutte le mattine del mondo. Abitiamo la stessa terra, nello stesso giorno: qualcosa ci lega, ci impone di pensare gli uni agli altri. Di informarci per conoscere i diversi destini e parteciparvi umanamente, se non è concesso altro.

Somiglia quasi a una preghiera, dirà qualcuno, questo colloquio intimo. A un dialogo con un’entità fuori di noi, che ci soccorra. Chissà. Ma la meditazione , ci ricordano i monaci orientali, è soprattutto ascolto: una paziente attesa che da un dio, dal mondo, da noi stessi giunga un segnale. Fosse anche un silenzio.   E poi cerchiamo di portare, come Marais, una nostra musica nei giorni che viviamo.

Diceva il poeta Giorgio Caproni: “Mi chiesero che cosa può fare il poeta per migliorare il mondo. Risposi: “La stessissima cosa che può e dovrebbe fare il nostro portinaio”. Se ciascuno di noi pensasse seriamente a migliorare se stesso piuttosto che preoccuparsi tanto (a parole!) del bene altrui, la società diventerebbe migliore, e quindi anche il flagello della guerra scomparirebbe. Ma è una verità troppo elementare, ahimè, per trovare credito”.   Speravamo, cominciando a scrivere, di trovare una formula che ci riscattasse. Se non un proclama, un appello. Oggi non si può. Ma almeno non è una resa.

Ferruccio Sansa       Il Fatto Quotidiano  08/09/2014.

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