L’Italia intera, nei giorni scorsi, si è di colpo ritrovata sotto shock per alcune immagini riprese da un telefonino e ritrasmesse immediatamente sulla Rete che ormai ci mostra in tempo reale, accadimenti che rimarrebbero altrimenti nella regione dell’inavvertito. Il breve filmato, mostrava alcuni immigranti internati nel Cie di Lampedusa, denudati per essere cosparsi con una soluzione chimica atta a prevenire la scabbia.

Questo trattamento brutale e inumano, come ha spiegato con chiarezza il senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione del Senato per la Tutela dei Diritti Umani, è diretta conseguenza delle modalità della reclusione che trasforma le persone in oggetti, in cose. I nazisti chiamavano gli internati del lager Stücke, pezzi. A sua volta, il processo di reificazione è figlio di una legge infame, la Bossi-Fini, la legge che istituisce il reato di clandestinità, ovvero una legge che trasforma un essere umano in criminale non per ciò che egli fa, ma per ciò che egli è, dunque una legge che si fonda sullo stesso impianto costitutivo delle Leggi di Norimberga.

Esponenti dell’Unione europea si sono scandalizzati, autorevoli rappresentanti del nostro governo si sono indignati, ma che anime belle! Davvero commoventi, e cosa dicono queste persone tanto sensibili delle diuturne vessazioni perpetrate contro i cittadini rom, perseguitati, segregati, deportati di campo in campo per esempio in Italia, per non parlare di quello che subiscono in Ungheria e in altri Paesi dell’ex blocco comunista dove vengono anche pestati e magari uccisi? Cosa pensano della legge liberticida per reprimere le manifestazioni che prepara il governo Rajoy in Spagna? Cosa dicono dell’impetuosa ascesa di Marine Le Pen in Francia?

Lo vogliono capire lorsignori che nella «civile» e imbelle Europa, è ancora attivo il virus della peste nera che si chiama fascismo che è pronto a riproporsi come prospettiva politica e che ci sono molti cittadini europei che, pur di vedere salvaguardato un loro status, reale o percepito che sia e di avere garantito un privilegio sia pur virtuale, sono pronti ancora a dar credito ai seminatori di razzismo, di odio e di xenofobia?

L’Europa cosa aspetta a dare senso alla sua stessa ragione d’essere: la convivenza pacifica fra i popoli e la loro unità politica e sociale, non solo economica? Non si possono accreditare illusioni di comodo magari parlando di pacificazione. Ci visioni del mondo inconciliabili. Pace, uguaglianza, libertà, giustizia sociale e fascismo, non possono convivere. Cosa si aspetta ancora per contrastare con inequivocabili leggi europee, il risorgere delle forze oscure dell’estrema destra che hanno partorito la peste nera che ha distrutto l’Europa e sterminato interi popoli? L’idea stessa di un’Europa unita, libera e pacifica, si è forgiata e temprata nella lotta e nella cultura antifascista; chi lo dimentica, magari per quieto vivere, non è solo superficiale o opportunista, è colpevole. Gravemente colpevole!

Moni Ovadia        l’Unità 21 dicembre 2013


 

Noi e loro muti di orrore

DICE: sono marocchini, tunisini. Se ne stiano al paese loro. Cosa volete che ce ne importi degli africani, non vedete che non c’è da mangiare per noi. Dice: non li vedete i forconi in piazza, e voi ancora lì al tepore delle vostre belle case a menarla con la solidarietà, con l’accoglienza. Dice: pensate agli italiani, prima. Va bene, allora cominciamo da qui. Da una conversazione qualsiasi di quelle che toccano ogni giorno, a volerle ancora sostenere, Quando sei in fila all’Agenzia delle entrate o alle Poste a pagare un bollettino, al forno a comprare il pane. Non ce n’è per noi, cosa volete che ce ne importi di quelli, che poi alla fine sono anche mezzi criminali. Sempre, quasi sempre. Va bene. Allora diciamo che sì, è così: se non ti salvi tu non puoi salvare gli altri, te lo spiegano bene ogni volta che l’aereo decolla. Prima assicurati di aver messo la tua maschera di ossigeno e il tuo giubbotto, poi aiuta il vicino. Il bambino, la donna incinta, il vecchio. Non importa.

Prima metti al sicuro te stesso. Perfetto, è giusto. Se poi c’è di mezzo la paura, la diffidenza, il sospetto che il vicino possa essere o diventare un nemico, figuriamoci se c’è bisogno di dirlo. Sono anche mezzi criminali, quasi sempre. La tua maschera di ossigeno, prima. Però poi arriva, un giorno, il gesto che azzera la rabbia livida del tuo personale benessere negato, il gesto che ti ricorda cosa siamo, tutti, prima dei nomi che ci danno e che ci diamo: esseri umani, siamo. Lo riconosci, quel gesto, perché lascia muti. La conversazione consueta si spegne in uno sguardo che si abbassa, una voce che borbotta, la replica che tarda ad arrivare, non arriva. Cos’hanno fatto? Si sono cuciti la bocca. Come cuciti? Cuciti. Ma le labbra? Le labbra, una insieme all’altra. E come? Con una specie di ago ricavato dal ferro di un accendino, e col filo di una coperta.

Otto hai detto? Otto. Quattro tunisini e quattro marocchini. I nomi no, non li so. Non li dicono mai i nomi degli stranieri, solo il numero. C’è una ragione. Il nome ti porta diritto dentro una storia, dentro una vita. Il numero fa numero, e basta. Però dicono l’età. Questi sono ragazzi: vent’anni i più giovani, trenta i più vecchi. Hai detto venti? Venti, sì.

Ce l’avete un nipote di vent’anni? Come vi sentireste se tornando a casa lo trovaste con la bocca cucita con ago e filo? Ve lo riuscite ad immaginare? Ecco, così. Tornate e lo trovate col sangue che cola dalla bocca cucita. Allora magari uno torna a casa e va a vedere su Internet le foto del posto dove è successo, il Cie di Porta Galeria a Roma. Cie, che vuol dire Centro di identificazione ed espulsione. Ci si può stare fino a un anno e mezzo in quel posto lì, con le sbarre delle gabbie ricurve verso l’interno, come quelle delle bestie pericolose in certi zoo. Che ora si chiamano bioparchi, in genere, e quelle gabbie non ci sono più nemmeno per le tigri.

Allora magari anche se è il sabato prima di Natale e devi andare a comprare il bagnoschiuma per tua nuora, con quei pochi soldi che hai, ecco magari allora ci pensi che in Italia c’è una legge che si chiama Bossi-Fini (ha proprio i nomi di quelli che l’hanno fatta, Bossi e Fini, se ti concentri te li ricordi tutti e due) che autorizza a tenere in quel lager degli esseri umani che hanno l’età di tuo figlio, di tuo nipote, e certo anche tuo figlio e tuo nipote non hanno lavoro ma almeno non vengono annaffiati nudi d’inverno con una pistola, almeno parlano una lingua che la gente intorno capisce, almeno hanno te e se sono in pericolo ti possono chiamare al telefono, vienimi a prendere che c’è un problema serio. Loro no.

Quelli che si sono presi le labbra con la mano sinistra e con la destra se le sono cucite non hanno nessuno da chiamare: si possono solo dare fuoco, e certo anche gli italiani lo fanno a volte, si possono ammazzare, anche questo capita senza bisogno di venire dall’Africa, o anche — ti possono dire con questo speciale martirio di ago e filo — nemmeno la parola gli è rimasta più per gridare. La parola, che viene dal pensiero e distingue l’uomo dalla bestia. Non serve più a niente nemmeno quella. Ecco, magari dieci minuti, allora, prima di uscire a comprare il pandoro, ci pensi.

Concita De Gregorio       la Repubblica  22 dicembre 2013

 

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