Il Concilio Vaticano II, cinquant’anni dopo.

Noi, Chiesa di oggi, l’avevamo perso di vista. Eravamo troppo indaffarati nelle nostre celebrazioni,  preoccupati per le chiese deserte, sfiniti dai turni di guardia alle dottrine della fede, mortificati per il  clamore sui preti pedofili, intenti a rincorrere i poteri politici, troppo zelanti per ricordarci di lui. Ed  il Concilio era rimasto in silenzio, seduto sulle panche vuote e profugo in luoghi appartati o in  piccole comunità ben protette. E addirittura rischiava di essere accomunato alla cattiva sorte  riservata alle ideologie novecentesche, e con tutto il Novecento essere buttato nel cassonetto dei  rifiuti, senza nemmeno la raccolta differenziata. Ma ecco che, a mezzo secolo dal suo inizio, esso è ricomparso, perché i cinquant’anni, i centesimi e i centocinquantesimi anniversari sono festeggiamenti di rito. È tornato in città dal suo esilio e noi,  Chiesa di oggi, col pretesto di celebrarlo, lo abbiamo fatto arrestare, come aveva fatto a Siviglia con lo Sconosciuto il Grande Inquisitore.

E naturalmente l’abbiamo sottoposto a un lungo interrogatorio. Perché sei tornato? Cinquant’anni ci  abbiamo messo per rimediare ai danni che hai fatto alla Chiesa. Che cosa vuoi ancora da noi? Tu eri venuto a dirci che la Chiesa non è solo una struttura gerarchica, ma un popolo. Ma come fa  un popolo, indifferenziato ed amorfo, poveri e ricchi, dotti e ignoranti, borghesi e proletari, a capire  la parola di Dio, a dar conto dell’evento cristiano, a impegnarsi nell’apostolato gerarchico, a rendere  visibile la Chiesa? E noi ne abbiamo fatto una Chiesa di movimenti, GS e Comunione e  Liberazione, Opus Dei, legionari di Cristo, Mondo Migliore, cursillos de cristianidad,  neocatecumenali, carismatici, lefebvriani, e ad alcuni abbiamo dato addirittura dei vescovi  personali, quasi a convalidare la loro arrogante ideologia dell’identità.

Eri stato richiesto di rivendicare la libertà religiosa ad uso della Chiesa, e tu hai restituito agli esseri umani la libertà di coscienza, hai rimosso il vecchio catenaccio per il quale solo la verità aveva il diritto di essere libera, mentre l’errore, si diceva, non ha alcun diritto. Ma se gli uomini non sono costretti alla verità, e la devono cercare e aderirvi liberamente, come fa la Chiesa che possiede la verità ed è anzi l’unica ad averla, a farsi obbedire? E se gli uomini non le affidano la loro coscienza, come si sgraveranno del peso della loro libera scelta? Oh, quale errore è stato per il Concilio seguire quel papa che nella sua enciclica aveva messo sullo stesso piano, e non in scala gerarchica, verità, libertà, giustizia ed amore, sì che facendosi guidare da tutti e quattro questi «maestri e duci» gli uomini avrebbero conseguito la pace! Tu avevi voluto tacere la teologia del «peccato originale» (che perfino Benedetto XVI mette tra virgolette), perché ogni creatura fosse responsabile del suo peccato, e nessuno credesse di nascere in litigio con Dio, e non venissero più scambiati per una condanna divina il lavoro, i parti, la sessualità e sorella morte; tu avevi invece insegnato che Dio, avendo attirato gli uomini a sé, anche dopo la caduta «non li abbandonò» e anzi «sine intermissione» – senza interruzione alcuna – ebbe cura del genere umano, in vista della redenzione.

Ma noi abbiamo avuto paura che senza la maledizione seguita a quel primo peccato cambiasse la figura stessa dell’uomo, che troppo egli crescesse nella sua statura, che il male dovesse avere un’altra spiegazione, e proprio nella libertà originaria impressa agli uomini come immagine di Dio, e che anche l’incarnazione dovesse essere più divinamente, e meno fiscalmente, motivata, non per un risarcimento ma per un definitivo dono. Troppa grazia. E perciò abbiamo subito rimesso il peccato originale nel Catechismo e nel suo Compendio, e addirittura per metterlo al sicuro l’abbiamo fatto risalire a una congiura degli angeli che, complice l’uomo, avrebbero dato scacco a Dio, sfigurando la più bella delle sue creature. Tu avevi tolto legittimità teologica all’obbligo dell’unità politica dei cattolici in un solo partito, e nella varietà delle loro scelte avevi visto la promessa di un loro più alto contributo alla salute della città. Ma senza unità la loro presenza politica ha perso interesse ai nostri occhi, il pluralismo di scelte cristianamente ispirate sarebbe stato d’imbarazzo per noi, e di fatto oggi il loro carisma politico è spento; certo la Repubblica è in crisi, ma a noi basta il concordato. Queste e altre cose noi, Chiesa di oggi, abbiamo contestato al Concilio, rivendicando di aver corretto la sua opera. E glielo abbiamo detto nascostamente, perché condannarlo apertamente sarebbe come sconfessare noi stessi. Ma perché – gli abbiamo infine chiesto – ancora sei qui ad inquietarci? Perché ancora stendi la tua ombra su di noi? Forse, come se fossi lo Spirito, vuoi davvero farci generare un’umanità nuova? Il Concilio sorrise, il suo volto fresco non denunciava i cinquant’anni, né alcuna ruga ricordava le tensioni e gli scontri tra le schiere conciliari. Poi baciò sulla bocca la Chiesa di oggi, e le disse: «Quello che ho fatto tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo» (Giov. 13, 7).

 

Raniero La Valle       in “Rocca” n. 15 del 1 agosto 2012

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