207 anni fa nasceva a Genova, il 22 giugno del 1805,
GIUSEPPE MAZZINI
Buon compleanno, caro “Pippo” ( permettici di chiamarti confidenzialmente come facevano i tuoi amici più vicini). Dopo 207 anni dalla tua nascita sei più vivo che mai come tutti coloro che hanno seminato idee, valori, principi e amore per la liberazione dell’uomo. Quest’anno, per esempio, compie novant’anni Pasolini ( nato il 5 marzo, il giorno in cui tu entrasti a Roma per la prima volta nel 1849) che come te aveva una visione religiosa (in senso laicissimo e non confessionale) del mondo e della politica, che come te ci ha amati molto e come te ha sofferto profondamente nel vedere la Patria scivolare nel disastro morale e civile.
Tu hai sperato, lottato, pensato fino alla tua morte fisica che l’Italia doveva nascere su base repubblicana, crescere come una democrazia pura e con una partecipazione del popolo assoluta, un popolo che imparasse ad essere responsabile di sé ( non lo era dopo secoli di oscurantismo religioso e politico) e per questo la tua attività non era solo cospirativa ma proponeva straordinari percorsi educativi ai doveri, vere matrici dei diritti. Pasolini la pensava allo stesso modo, lui che aveva a che fare con un “austriaco” forse peggiore: l’ideologia consumistica che provocava un genocidio culturale e una devastazione delle coscienze di cui oggi vediamo le macerie totali.
Caro “Pippo”, al tuo tempo hai cercato di avvertire tutti di che cosa significasse un’ Italia che nasceva nel segno dei Savoia, nel servaggio ad una casa Regnante. Nel 1870, quando quell’Unità loro si completava con la presa di Roma, ti hanno addirittura chiuso in una fortezza a Gaeta perché non ci fosse il rischio che la tua presenza attiva fosse d’intralcio ai loro progetti. Anche Garibaldi se ne accorse, più tardi di te, cos’era quell’Italia in cui non si voleva e non si poteva riconoscere, come te che, liberato da Gaeta, passasti per Roma ma non volesti scendere dal treno che ti portava al Nord: nei tuoi occhi doveva rimanere solo quella Roma del 1849 che fu il più straordinario laboratorio della tua visione d’Italia e che tutte le potenze di allora ( compreso il Piemonte) cercarono, riuscendoci purtroppo, di abbattere, perché l’Italia doveva nascere in un altro modo e diventare quella che Pasolini vide e denunciò con tutte le sue forze. Tu condannato all’esilio e ad una vita clandestina, lui al linciaggio continuo dell’opinione pubblica e, addirittura, a morte.
Ripercorrere la grandezza del tuo esempio, la profondità dei tuoi insegnamenti morali, i tuoi errori, a volte, frutto anch’essi della tua dedizione, i tuoi innumerevoli scritti non è compito di una lettera come questa. Ma sono doni grandissimi che ci hai lasciato e che sono uno dei pochi fiori che la nostra disgraziata storia d’Italia può mostrare. I doni di un cospiratore-educatore come quelli di un poeta-educatore. Eri educatore già da giovanissimo ( 21 anni), quando scrivesti il tuo primo opuscolo “De l’amor patrio di Dante” e dove era già tutta la tua passione per la nostra Patria che vorremmo meritasse. C’invitavi a coltivare la memoria dei Grandi, come Dante, per non scadere nella mediocrità che ci attanaglia ogni giorno, per poter fare anche noi cose grandi per il bene di tutti. Al termine di questa lettera ti e ci riscriviamo le parole conclusive di quel tuo primo lavoro. Ecco, vorremmo coltivare sempre più la memoria di te, insieme ad altri Grandi, per migliorare un po’ nella nostra triste epoca e per non diventarne ancor più complici.
Grazie “Pippo” per tutto, semplicemente. C’è ancora qualcuno che sa che sei vivo e coltiva il tuo stesso sogno e prova a viverlo e a proclamarlo perché ne abbiamo un bisogno assoluto. Per uomini come te vale ciò che scrisse in una lettera al padre un piccolo grande italiano, Bartolomeo Vanzetti, condannato a morte nel 1927, come anarchico insieme a Nicola Sacco, in un’ America oscura :
“ Quando guardo verso le stelle sento che siamo figli della vita. La morte non conta.”
Buon compleanno, “Pippo”.
“Avete voi versata mai una lacrima sulla bella contrada, che gli odi, i partiti, le dissensioni, e la prepotenza straniera ridussero al nulla? Se tali siete, studiate Dante; da quelle pagine profondamente energiche, succhiate quello sdegno magnanimo, onde l’esule illustre nudriva l’anima; ché l’ira contro i vizi e le corruttele è virtú. Apprendete da lui, come si serva alla terra natía, finché l’oprare non è vietato; come si viva nella sciagura.
La forza delle cose molto ci ha tolto; ma nessuno può torci i nostri grandi; né l’invidia, né l’indifferenza della servitú poté struggerne i nomi, ed i monumenti; ed ora stanno come quelle colonne, che s’affacciano al pellegrino nelle mute solitudini dell’Egitto, e gli additano, che in que’ luoghi fu possente città. Circondiamo d’affetto figliale la loro memoria. Ogni fronda del lauro immortale, che i secoli posarono su’ loro sepolcri, è pegno di gloria per noi; né potete appressare a quella corona una mano sacrilega, che non facciate piaga profonda nell’onore della terra, che vi diè vita.
O Italiani! non obbliate giammai, che il primo passo a produrre uomini grandi sta nello onorare i già spenti.”
Giuseppe Mazzini, da “ De l’amor patrio di Dante ”, 1826