Contro malaffare e illegalità servono regole severe e istituzioni decise ad applicarle. Ma serve soprattutto una diffusa e costante intransigenza morale, un’azione convinta di cittadini che non abbiano il timore d’essere definiti moralisti, che ricordino in ogni momento che la vita pubblica esige rigore e correttezza.«Mi piace definirmi moralista - afferma Rodotà -.

Questa parola è sgradita, è usata in modo negativo e tuttavia mi pare che alluda a un modo di guardare le cose del mondo in maniera reattiva, non passiva. Soprattutto quando ci troviamo di fronte a illegalità, cinismo, abbandono dell’etica pubblica, che è quello che è avvenuto in questi anni, non soltanto in Italia, ma in Italia in modo tale da travolgere lo stesso senso delle istituzioni, il rispetto delle regole, il rispetto degli altri. E quindi è necessaria una reazione. Io lo chiamo moralismo attivo: quello che mettono in atto tante persone, che fanno tanti mestieri e che nella loro vita quotidiana non rinunciano a denunciare i comportamenti che contravvengono a quello che è scritto nella Costituzione, per cui soprattutto chi ha funzioni pubbliche deve adempierle con onore e disciplina. L’onore soprattutto è in parte perduto e un buon moralismo può aiutarci a riconquistarlo per tutti

 

Il libro:  Stefano Rodotà, Elogio del moralismo, ed. Laterza 2011,  € 9,00

 

vedi: La questione morale

Matti da legale

Rodotà:  una grande occasione perduta


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