L a pluralità delle concezioni etiche e delle visioni filosofiche e religiose del mondo è una realtà irriducibile e ostinata. Una realtà da sempre all’origine, nella storia umana, di conflitti e anche di tragedie; all’origine, pertanto, del problema eminentemente politico di come stabilire regole di convivenza, le regole dell’ordine sociale. E le regole istituzionali tipiche dell’Europa e più ampiamente dell’Occidente sono le regole della «società aperta». La società aperta è aperta al maggior numero possibile di idee e ideali diversi e magari contrastanti, ed è chiusa solo ai violenti e agli intolleranti. E se più d’una sono le ragioni storicamente via via addotte a supporto della società aperta, nevralgiche a tal proposito risultano la consapevolezza della fallibilità della conoscenza umana, la consapevolezza che dai fatti non sono derivabili valori, la consapevolezza che le «verità» delle fedi scelte e abbracciate possono venir proposte e non imposte.

 Viviamo in una società aperta, cioè laica, quando a nessuno e a nessun gruppo portatore di una specifica tradizione è proibito di dire la sua, ma dove nessuno e nessuna tradizione è esente dalla critica nel pubblico dibattito. Laico è chi è critico; non dogmatico; disposto ad ascoltare gli altri— soprattutto quanti pensano diversamente da lui— e al medesimo tempo deciso a farsi ascoltare; laico è chi è rispettoso delle altrui tradizioni e, in primo luogo, della propria; è colui che è consapevole della propria e della altrui fallibilità e che è disposto a correggersi; il laico non è un idolatra, non divinizza eventi storici e istituzioni a cominciare dallo Stato; non reifica, non fa diventare cose (res), cioè realtà sostanziali, i concetti collettivi (popolo, classe, nazione, sindacato, partito, ecc.) che così si trasformerebbero in entità liberticide; il laico rispetta la voce del popolo ma non la mitizza, perché sa che il popolo, al pari di ogni singolo individuo, può sbagliare: la piazza ha scelto Barabba, ha osannato assassini e dittatori, è andata in delirio per Mussolini, Hitler, Stalin e Pol Pot; il laico sa che nello Stato di diritto sovrana è la legge e non il popolo— la legge che pone garanzie di libertà dei cittadini e che protegge le minoranze nei confronti di maggioranze tentate di governare tirannicamente; il laico sa che la democrazia è «l’alta arte» del compromesso, ma è colui che anche sa che non sempre il compromesso è possibile giacché esistono valori o ideali inconciliabili (come è il caso della manipolabilità o meno dell’embrione o della praticabilità o meno dell’aborto): in questi casi il laico si affida alla tecnica del referendum o allo «scudo personale» dell’obiezione di coscienza, nella più lucida consapevolezza che la società aperta non sarà mai una società perfetta; è laico chi concepisce le istituzioni in funzione della persona e non viceversa; il laico combatte fin che può con le «parole» invece che con le «spade» , ma sa opporsi con la spada a quanti usano la spada per opprimere gli altri: «Abbiamo non soltanto il diritto, ma il dovere di rifiutare di essere tolleranti verso coloro che cospirano per distruggere la tolleranza» (Karl Popper). Ed è per questo che ha ragione Giovanni Sartori nei suoi attacchi contro il «multiculturalismo ideologico».

 Laico è, dunque, il cittadino della società aperta — un cittadino che, è ancora Popper a parlare, «riconosce che gran parte dei nostri scopi e fini occidentali, come l’umanitarismo, la libertà, l’uguaglianza, li dobbiamo all’influsso del cristianesimo» , e che, diversamente dal laicista fondamentalista, sa che «il vero liberalismo non ha niente contro la religione» e che è da «deplorare l’anticlericalismo essenzialmente illiberale che ha animato tanta parte del liberalismo continentale del XIX secolo» (Friedrich von Hayek). Fuor d’ogni dubbio, anche le regole e le istituzioni della società aperta sono il frutto di una specifica tradizione, esito di consapevolezze teoriche e di precise scelte etiche — tese a scardinare le «ragioni» di conflitti e catastrofi che hanno inzuppato, e inzuppano, la terra di sangue innocente. Ma si tratta, diversamente che in altri ordini sociali tribali e dittatoriali, di consapevolezze e scelte etiche che permettono la pacifica convivenza del maggior numero possibile di individui con idee diverse e di tradizioni differenti. Per dirla con Luigi Einaudi, nella società aperta «l’impero della legge è condizione per l’anarchia degli spiriti».

 

Dario Antiseri       Corriere della Sera 23/5/11
 
 

 

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