Ancora una esagerazione nel campo della religione di chiesa che fa notizia in questa strana epoca post-moderna dei botti mediatici a ripetizione che nascondono il vero senso della vita e della storia. L’esagerazione questa volta è duplice. È esagerata prima di tutto la decisione papale di beatificare Karol Wojtyla, papa Giovanni Paolo II, in tutta fretta, a soli sei anni dalla morte, avvenuta il 2 aprile del 2005, in deroga alle norme canoniche che prevedono si aspettino cinque anni dalla morte solo per aprire il processo canonico arrivando poi in tempi non brevi alla beatificazione. In secondo luogo c’è la data scelta per il rito della beatificazione: il primo maggio prossimo, data laicamente sacra per il mondo del lavoro a livello mondiale. Quest’anno la vita, la fatica, il lavoro, la lotta per la giustizia, il sogno di riscatto, l’identità profonda di miliardi di operai e operaie, di proletari di tutto il mondo e lavoratori di tutte le categorie sociali saranno oscurati, nelle intenzioni dei settori più chiusi del Vaticano e di tutte le sfumature dei fondamentalismi cattolici, dall’evento mediatico della beatificazione di un solo uomo, un quasi-dio. Se tutto ciò non è esagerazione ed esagerazione idolatrica! Mentre esprimo queste note critiche verso i poteri religiosi che usano tali esagerazioni per fare notizia e business, al tempo stesso manifesto perplessità verso chi si oppone alla beatificazione di Karol Wojtyla adducendo il motivo che egli non sarebbe abbastanza santo a causa delle molte imperfezioni, difetti, errori e carenze del suo pontificato. In particolare mi riferisco a qualche decina di teologi, teologhe, storici e storiche, del progressismo cattolico aperto, fra cui alcuni e alcune di cui ho molta stima, i quali hanno emesso un documento in cui propongono «dei riferimenti a quelle donne e uomini cattolici che danno una valutazione per molti aspetti negativa del suo operato come papa. Perciò, con questo appello invitiamo tali persone a superare la ritrosia e la timidezza, e ad esprimere formalmente, con libertà evangelica, fatti che, secondo le loro conoscenze e i loro convincimenti, dovrebbero essere d’ostacolo alla beatificazione di Wojtyla». Ho a dir poco perplessità verso queste forme di collaborazionismo verso il sistema della santificazione.

Perché i santi sono persone che vengono isolate da quella che consideriamo la palude amorfa dei comuni mortali, la loro figura è decontestualizzata, schematizzata e idealizzata, e proprio in questa dimensione convenzionale e mitica essi divengono i nostri modelli. La santificazione è fondamentalmente distruttiva perché soddisfa e alimenta il nostro bisogno di separarci e allontanarci dalla miseria della vita reale, favorisce la divaricazione fra il sogno e la realtà, indirizza la nostra ricerca di senso verso la emersione individuale contrapposta alla convergenza e alla socialità, ignora o sottovaluta i processi profondi, frantuma il divenire storico. La mitizzazione/santificazione crea sensi di frustrazione morale di fronte a modelli di santità irraggiungibile, genera sensi di colpa, produce personalità insicure, dipendenti e quindi inclini alla eterodirezione e alla ubbidienza. Ecco il motivo profondo della santificazione: favorire il dominio. Il bisogno e la creazione di miti, che in passato è stata dominata dai poteri religiosi, oggi è sfruttata a piene mani e favorita dai nuovi poteri laici. Miti laici hanno sostituito i miti sacri. Il risultato non cambia. Noi, le formiche, i comuni mortali, ci sentiamo schiacciati dai miti, dalle persone che bucano il video, che emergono nel campo politico, mediatico, economico, ci sentiamo insignificanti, bisognosi della protezione del potere, come bambini indotti dalla loro insicurezza a gettarsi nelle braccia della mamma. Ritengo che bisogna intensificare l’impegno culturale e sociale di base, in mezzo alla gente, nella educazione dei bambini e dei giovani, nella espressione di una fede matura, nel diffondere il senso della laicità, per liberarsi e liberare dal dominio del sacro in cui il culto dei santi ha un rilievo di non poco conto.


don  Enzo Mazzi      il manifesto  15 gennaio 2011


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