Cara banca d’affari, dopo Renzi non tutto è perduto: ha vinto il “No” ma, come per lo stadio della Roma, basterà amministrare in senso opposto alla Costituzione e il referendum verrà vanificato

Caro Direttore, ho ricevuto per posta il documento che qui allego. L’anonimo mittente dice di averlo trovato frugando nelle cartacce in zona Montecitorio, ma non fornisce prove della sua autenticità. Personalmente lo ritengo un falso, per giunta firmato con uno pseudonimo, ma lo mando lo stesso alla Sua attenzione, anche perché i fatti in esso ricordati sono veri. Vedrà Lei se merita di raggiungere le pagine del Fatto. Con saluti cordiali.

Salvatore Settis            il Fatto   14 marzo 2017

 

Spett. Ufficio Studi di J. P. Morgan, la Costituzione italiana dev’essere urgentemente cambiata, lo sappiamo da anni grazie anche alle Vostre preziose analisi. Il problema è come. Come sapete, ci abbiamo già provato una prima volta (“Piano A”), ma con tempi troppo stretti, e poi un’altra (“Piano B”), purtroppo anch’essa fallita. Stiamo pertanto elaborando un ulteriore percorso (“Piano C”), del quale Vi diamo notizia con questa nota riservata. Ma prima riassumiamo il background sul quale costruire il consenso alla nostra iniziativa.

Il Piano A, Vi è ben noto, scattò su iniziativa dell’allora Presidente Napolitano dopo le dimissioni dell’ultimo governo Berlusconi. Il governo tecnico presieduto da Monti aveva una solida maggioranza, detta delle “larghe intese”, che comprendeva la destra berlusconiana e il Pd. Queste condizioni parvero ideali per avviare la vasta riforma della Costituzione, e se ne fece allora una prova generale modificando l’art. 81 (pareggio di bilancio) con una maggioranza talmente ampia (superiore ai due terzi delle Camere) da evitare ogni rischio di referendum.

Il Piano A prevedeva che si continuasse su questa strada dopo le elezioni politiche del 2013, e il governo Letta, anch’esso fondato sulle “larghe intese”, parve garantire il successo del progetto; si tentò allora anche di accelerare i tempi di approvazione delle riforme bypassando l’art. 138 della Costituzione, che per modificarla prevede un iter troppo lungo. La caduta del governo Letta e l’ascesa di Renzi a Palazzo Chigi parvero inizialmente altrettante tappe verso l’auspicata riforma, come fu evidente dal Patto del Nazareno stretto fra Renzi e Berlusconi.

Ma vicende interne ai partiti e agli equilibri parlamentari, fra cui l’elezione al Quirinale di Mattarella, disgregarono le “larghe intese” svuotando il Patto del Nazareno, e non si poté formare una maggioranza parlamentare tale da condurre in porto la riforma senza un referendum popolare.

Si passò in tal modo al Piano B, che prevedeva di modificare la Costituzione in parallelo con un’accesa campagna di opinione che, non potendo evitare il referendum, garantisse il prevalere dei Sì. Purtroppo l’esito del referendum fu, viceversa, la vittoria del No con un margine così forte da scoraggiare un’immediata ripresa del progetto. Fin qui parliamo di cose note, ma è a questo punto, dopo il fallimento anche del Piano B, che ci sembra debba partire senza indugi il Piano C.

Esso è molto semplice: poiché il fronte del No al referendum è discorde al suo interno e senza leadership, e tuttavia milioni di cittadini sono persuasi di aver messo al sicuro la Costituzione, il miglior modo di apportarvi le necessarie modifiche è di agire sull’ordinaria amministrazione impostandone le azioni a prescindere dalla Costituzione vigente. Piccoli e graduali provvedimenti in tal senso, se avranno successo, potranno mostrare che questa è la strada giusta: lasciare la Costituzione com’è, ma ignorarne sistematicamente le prescrizioni. In tal modo, essa verrà delegittimata e dimenticata, sostituita da una prassi amministrativa a cui il “fronte del No” non è in grado di opporre resistenza.

Per dare un esempio di questa nuova strategia, richiamiamo in breve quanto sta accadendo a Roma a proposito del progetto di costruire un nuovo Stadio, intorno al quale sono previsti vastissimi quartieri con uffici, infrastrutture, zone residenziali e di servizi, mettendo in circolazione cospicui capitali e innescando significativi introiti e posti di lavoro.

A tale progetto si sono opposti i sacerdoti del No, ma anche uffici pubblici, dal Ministero dei Beni Culturali allo stesso Comune di Roma, con un assessore (per fortuna dimessosi). I pareri negativi si basano sul pretesto che l’area interessata ha alto valore paesaggistico e numerose preesistenze archeologiche, nonché vincoli di legge sul preesistente ippodromo. È qui che i lacci e lacciuoli della Costituzione agiscono impedendo il dispiegarsi della libertà dell’impresa, tanto più che numerose sentenze della Corte Costituzionale dichiarano l’assoluta priorità della tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico su qualsivoglia interesse economico. Si tratta dunque, pur in assenza di una riforma costituzionale, di capovolgere questa gerarchia di priorità onde consentire la piena libertà dell’impresa.

Lo strumento che in tal senso abbiamo individuato, con il valido aiuto della benemerita ministra Madia, è la “conferenza di servizi”, configurata in modo che tutti gli uffici dello Stato trovino espressione in un rappresentante unico, onde evitare che il miope parere di archeologi e paesaggisti possa bloccare le giuste attese delle imprese.

Nella fattispecie, rappresentante unico delle Amministrazioni Statali è stato nominato un funzionario di Palazzo Chigi, Carlo Notarmuzi, il quale nella conferenza dei servizi del 3 marzo scorso ha dato infatti parere favorevole al progetto, dichiarando del tutto irrilevante il parere del Ministero dei Beni Culturali a proposito dei valori paesaggistici, archeologici e ambientali. La soluzione del problema, per varie altre complicazioni, non può dirsi ancora compiuta; ma è bene segnalare l’esemplare parere Notarmuzi, che ignora, come è giusto, gli artt. 9 e 41 della Costituzione, relativi rispettivamente alla tutela del paesaggio e del patrimonio artistico e ai limiti di utilità sociale posti alla libertà delle imprese.

Se, come sembra probabile, questo indirizzo non verrà contrastato dall’Amministrazione comunale di Roma, nonostante la sua notoria tinta populista, il benemerito Notarmuzi avrà indicato la strada per il successo del Piano C per la riforma della Costituzione: basterà fare altrettanto in una moltitudine di atti amministrativi, compilati in senso opposto a quanto prevede la Costituzione vigente, e (per fortuna) l’esito del referendum verrà vanificato.

On. Servilio Inganni

 

vedi:  Referendum: non sprechiamo quel no

Il popolo del No si riunisca in comitati

Non disperdiamo il patrimonio del No

Bene il “no”, ma la battaglia è altrove

Voi al governo, che cosa avete capito?

Costituzione! Perchè attuarla è meglio che cambiarla


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