Ho detto ieri, dialogando con i lettori e gli spettatori di Repubblica Tv, che ormai la politica in Italia  è una cosa buia, che non appassiona più nessuno, né chi la fa, né chi la segue. Su questa  affermazione mi hanno scritto in tanti, che credo abbiano condiviso con me questo sentimento di  impotenza, avvertito talvolta come un impedimento, la denuncia di qualcosa che ostruisce la  partecipazione, il normale rapporto che un cittadino deve avere con la vita pubblica del suo Paese. E  insieme, c´è un altro sentimento in chi mi scrive: rabbia e ribellione per sentirsi espropriati dalla politica come strumento di impegno e di cambiamento, rifiuto di accettare che questa stagnazione prevalga. 

Chi analizza fatti, episodi e metodi della politica italiana, in questo momento, non può che avere  una reazione di spavento e pensare: non è per me. Ricatti, timori, intimidazioni. Tutti hanno paura.  Anche io ho paura: non ho nulla da nascondere, con la vita ridotta e ipercontrollata cui sono  costretto, ma sento questo clima di straordinaria ostilità, e vedo l´interesse a raccoglierlo, eccitarlo,  utilizzarlo. Mi guardo intorno e penso: come deve sentirsi un giovane italiano che voglia usare in  politica la sua passione civile, il suo talento? La politica di oggi lo incoraggia o lo spaventa?  E qual è il prezzo che tutti paghiamo per questa esclusione e per questa diffidenza? Qual è il costo  sociale della paura? Chi fa già parte del sistema politico nel senso più largo del termine, o ha  comunque una responsabilità pubblica e sociale, sa che oggi in Italia qualsiasi sua fragilità può  essere scandagliata, esibita, denunciata ed enfatizzata.

Non importa che non sia un reato, non importa quasi nemmeno che sia vera. Basta che faccia notizia, che abbia un costo, che faccia pagare  un prezzo, e che dunque serva come arma di ammonimento preventivo, di minaccia permanente, di regolamento dei conti successivo. Ma la libertà politica, come la libertà di stampa, si fonda sulla possibilità di esprimere le proprie idee senza ritorsioni di tipo personale. Se sai che esprimendo  quell´opinione, o scrivendola, tu pagherai con un dossier su qualche vicenda irrilevante penalmente,  magari addirittura falsa, ma capace di rovinare la tua vita privata, allora sei condizionato, non sei  più libero.  Siamo dunque davanti a un problema di libertà, o meglio di mancanza di libertà. Siamo davanti a  uno strano congegno fatto di interessi precisi, di persone, di giornalisti, di mezzi, di strumenti  mediatici, che tenta di costruire un vestito mediaticamente diffamatorio; ha i mezzi per farlo, ha  l´egemonia culturale per imporlo, ha la cornice politica per utilizzarlo.

Nella società del gossip si viene colpiti uno per volta, e noi siamo spettatori spesso incapaci di  decodificare gli interessi costituiti che stanno dietro l´operazione, i mandanti, il movente. Eppure la  questione riguarda tutti, perché mentre la macchina infanga una persona denudandola in una sua  debolezza e colpendola nel suo isolamento, parla agli altri, sussurrando il messaggio peggiore,  antipolitico per eccellenza: siamo tutti uguali, dice questo messaggio, non alzare la testa, non  cercare speranze, perché siamo tutti sporchi e tutti abbiamo qualcosa da nascondere. Dunque abbassa lo sguardo, ritraiti, rinuncia.

Come si può spezzare questo meccanismo infernale, pericoloso per la democrazia, e non solo per le  singole persone coinvolte? L´antidoto è in noi, in noi lettori, spettatori e cittadini, se preserviamo la  nostra autonomia culturale, se recuperiamo la nostra capacità di giudizio. L´antidoto è nel non  recepire il pettegolezzo, nel non riproporlo, nel non reiterarlo. Nel capire che ci si sta servendo di  noi, dei nostri occhi, delle nostre bocche come megafoni di pensieri che non sono i nostri. Nel non  passare, come fanno molti addetti ai lavori, le loro giornate su siti di gossip che mentono a pagamento, che costruiscono con tono scherzoso la delegittimazione, che usano informazioni personali soltanto per metterti in difficoltà.

È il metodo dei vecchi regimi comunisti, delle tirannie dei paesi socialisti che volevano far passare i dissidenti per viziosi, ladri, nullafacenti, gentaglia che  si opponeva solo per basso interesse. Mai come nell´Italia di oggi si trova realizzato nuovamente,  anche se con metodi differenti, quel meccanismo delegittimante.  Dobbiamo capire che siamo davanti a un metodo, che lega Fini a Boffo e a Caldoro nella campagna  di screditamento. Dobbiamo ripeterci che in un Paese normale non si comperano deputati a blocchi,  giurando intanto fedeltà al responso degli elettori. Dobbiamo sapere che la legge bavaglio non tutela  la privacy ma limita la libertà di conoscere e di informare. Dobbiamo sapere che le norme del  privilegio, gli scudi dal processo, le leggi ad personam sono i veri polmoni che danno aria a questo governo in affanno, perché altrimenti cade l´impero.

Dobbiamo semplicemente pretendere, come fanno migliaia di cittadini, che la legge sia uguale per  tutti, un diritto costituzionale, che è anche un dovere per chi ha le più alte responsabilità. Non  dobbiamo farci deviare da falsi scandali ingigantiti ad arte. Ogni essere umano fa errori ed ha  debolezze. Ogni politica, ogni scelta ha in se delle contraddizioni. E si può sbagliare sempre. Ma  oggi bisogna affermare con forza che se ogni essere umano sbaglia e ha debolezze non tutti gli errori e non tutte le debolezze sono uguali. Una cosa è l´errore, altro è il crimine. Una cosa è la debolezza umana, un´altra il vizio che diviene potere in mano ad estorsori. Comprendendo e smontando la diffamazione che viene costruita su chiunque decida di criticare o opporsi a questo potere, si può resistere, si può persino difendere la libertà, la giustizia, la legalità. Non dichiarandoci migliori, ma semplicemente diversi. Rifiutando l´omologazione al ribasso, per salvare invece le ragioni della politica e le sue speranze: salvarle dal buio in cui oggi affondano, con le nostre paure.


Roberto Saviano     la Repubblica  29 settembre 2010

 

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