Articoli marcati con tag ‘coscienza’

Intervista a Gustavo Zagrebelsky     a cura di Jean-Jacques Peyronel e Luca Maria Negro

È d’accordo nel considerare il 17 febbraio 1848 come una tappa fondamentale della lunga battaglia per la libertà di coscienza in Europa?

«Se c’è un elemento caratteristico dell’Europa, che fa parte della sua cultura, che dovrebbe renderci orgogliosi della nostra storia, è questo punto: l’Occidente con tutti i suoi vizi e limiti ha affermato la libertà di coscienza. Si può prendere il 17 febbraio per parlare di libertà di coscienza, ma forse sarebbe bene partire non solo dalla Riforma luterana ma da molto prima: dai valdesi medioevali. La libertà di coscienza viene normalmente riconosciuta da tutti gli studiosi di cose costituzionali come la base, la premessa di tutte le altre libertà. Può stupire che nella nostra Costituzione non si parli di libertà di coscienza. Questo perché la libertà di coscienza avrebbe equiparato in dignità tutte le coscienze. C’è un’uguale libertà ma la coscienza di qualcuno è un po’ più uguale delle altre. Credo che sia difficile per la Chiesa cattolica riconoscere che fuori della Chiesa ci può essere una coscienza che va rispettata come quella di coloro che stanno nella Chiesa». Leggi il resto di questo articolo »

L’Italia vive a vari livelli economici, culturali, storici. Questa varietà di livelli si rifrange negli individui, facendone dei casi sempre in po’ impalpabili, sfuggenti, difficilmente definibili. D’altra parte ciò non li preserva dallo standard, dal conformismo, la standardizzazione si supera soltanto con la coscienza critica, con un alto, sviluppato, adulto, senso civile: e questo purtroppo non è il caso degli italiani, che sono dunque da una parte instabili, misteriosi, irrazionali – tendenti a sfuggire alle definizioni della media – d’altra parte sono elementarmente parificati e codificati, tendenti a rientrare sempre in un tipo medio meccanicamente fisso.

 

Pier Paolo Pasolini,  1971

 

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La religione del libero mercato e i limiti profondi del capitalismo

Il nuovo libro di Hans Küng si intitola Onestà. Perché l’economia ha bisogno di un’etica ed esce da Rizzoli il 2 marzo (traduzione di Chicca Galli, pp. 372, € 20). In questa pagina anticipiamo un brano dedicato all’ «economia responsabile» . Onestà è un saggio contro la religione del libero mercato, e per la riscoperta dei valori che potrebbero rendere l’economia più equa e più efficace. L’ultima crisi, sostiene Küng, lo ha confermato: il capitalismo non è una scienza e, come il socialismo, ha limiti profondi che rischiano di portare la società al collasso. Il teologo, a cui nel 1979 la Congregazione per la dottrina della fede ha revocato l’autorizzazione a insegnare la teologia cattolica, analizza da una parte la globalizzazione e l’evoluzione dei mercati, dall’altra si interroga su concetti chiave come giustizia, equità, remunerazione. Küng crede in un’etica mondiale, valida anche per l’economia, basata su due principi: la reciprocità (non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te) e l’umanità (ogni essere umano deve essere trattato umanamente). Con Rizzoli il teologo svizzero ha pubblicato vari libri, tra cui Ebraismo (1993), Cristianesimo (1997), Islam (2005), tutti disponibili nella Bur. L’anno scorso è uscito, sempre da Rizzoli, Ciò che credo.

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Critica del potere. Protesta. Rivolta. Sono queste le parole che rimbalzano da quei paesi del Mediterraneo da troppo tempo ridotti al silenzio e alla povertà. Ma anche in Europa, e soprattutto nel nostro paese, riprende vigore il dissenso e, dopo un quindicennio di conformismo berlusconiano, si irrobustiscono le voci critiche. La trasgressione del senso comune sembra finalmente tornare un valore. Più che di rivoluzione però, nel nostro caso si assiste soprattutto al ritorno del Soggetto con la maiuscola, quello che sceglie secondo coscienza. E magari arriva a decidere che ciò che è ovvio per tutti (e insieme quello che i politici che dovrebbe rappresentarlo vanno dicendo), non fa per lui. Peggio, non corrisponde al vero, è falso. Non si tratta però, con l’eccezione di Saviano, di un ritorno degli intellettuali, spariti da tempo dalla scena pubblica; ma di individui singoli che scelgono strade di radicale diversità: è il caso di Simone Perotti, di cui è appena uscito, per Chiare Lettere, Avanti tutta. Leggi il resto di questo articolo »

“È bello quando parla Gaber” canta Enzo Jannacci, l’amico corsaro di sempre, ricordando quanto il signor G, a quarant’anni esatti dalla sua prima apparizione sulla scena del Piccolo Teatro di Milano, rimanga, oltre che fine affabulatore e artista totale, una delle rare coscienze civili del secondo Novecento italiano. Questo libro non vuol essere solo l’”autobiografia” di Gaber, ma anche una sorta di breviario irreligioso per liberi pensatori. Nelle sue parole soffia il vento di una morale di lotta, insieme all’ansia di un’etica nuova e di un ritorno al luogo del pensiero. Immerso nel suo tempo, Gaber auspica, anzi esige, un neorinascimento, un nuovo umanesimo e, con esso, un individuo nuovo, fatto di privato e di politico. È questa “l’illogica utopia” del titolo, condita di un “appassionato pessimismo” che l’artista vorrebbe detonatore di uno slancio vitale e gioioso verso un futuro tutto da inventare. La viva voce di Gaber guida il lettore in un viaggio, ricostruito attraverso lo sterminato archivio della Fondazione Giorgio Gaber dei cui tesori viene qui presentata una corposa sintesi, con trascrizioni di materiali audio e video, interviste, manoscritti e testi spesso inediti, memorabilia, rare copertine di dischi e una messe di immagini tratte anche dagli archivi dei fotografi che più da vicino hanno seguito l’artista. Una cronologia dettagliata e una discografia completano questo volume. Un libro da regalarsi, anche se costa molto, per volersi bene.

di  Giorgio Gaber,   Fondazione  G.Gaber,  ed. Chiarelettere  2010,   € 59,00

 

 

vedi: IL CANCRO

30 gennaio 2011. Un pomeriggio con un corsaro

"Far finta di essere sani": GIORGIO GABER


Il 15 febbraio 1966, il Tribunale di Roma assolveva don Lorenzo Milani dall’accusa di apologia di reato per essersi espresso a favore dell’ dell’obiezione di coscienza al servizio militare. Don Milani aveva 42 anni ed era parroco di 42 anime! Lo scriveva lui stesso. A quella sentenza non potevo essere presente – frequentavo soltanto la terza liceo classico ed ero a Lucca – ma dall’eco data dalla stampa alla notizia, percepivo che rappresentava una pietra miliare nella vicenda civile e religiosa del nostro paese. Mi sembra bello ricordare quell’avvenimento, a poche settimane dalla celebrazione dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Perché la Lettera ai cappellani militari, la Lettera ai giudici e la motivazione stessa della sentenza partono sì dal problema allora rovente dell’obiezione di coscienza al servizio militare, ma contribuiscono ad un esame critico di tutta la storia nazionale seguita all’Unità. Leggi il resto di questo articolo »

Speriamo di poter avere il coraggio di essere soli e l’ardimento di stare insieme, perché non serve a niente un dente senza bocca, o un dito senza mano.  Speriamo di poter essere disubbidienti, ogni qualvolta riceviamo ordini che umiliano la nostra coscienza o violano il nostro buon senso.  Speriamo di poter meritare che ci chiamino pazzi, come sono state chia­mate pazze le Madri di Plaza de Mayo, per commettere la pazzia di rifiutarci di dimenticare ai tempi dell’amnesia obbligatoria. Speriamo di poter essere così cocciuti da continuare a credere, contro ogni evidenza, che vale la pena di essere uomini.  Speriamo di poter essere capaci di continuare a camminare per i cammi­ni del vento, nonostante le cadute e i tradimenti e le sconfitte, perché la storia continua, dopo di noi, e quando lei dice addio, sta dicendo: arri­vederci. Speriamo di poter mantenere viva la certezza che è possibile essere com­patrioti e contemporanei di tutti coloro che vivono animati dalla volontà di giustizia e dalla volontà di bellezza, ovunque nascano e ovunque viva­no, perché le cartine dell’anima e del tempo non hanno frontiere.

 

Eduardo Galeano,   scrittore uruguayano

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La questione morale è la questione, argomenta Roberta De Monticelli, filosofa di statura europea con anni di insegnamento a Ginevra e ora a Milano al San Raffaele, nel suo nuovo libro (La questione morale, Raffaello Cortina). Sostenendo che la morale non è un´applicazione secondaria ma il punto da cui tutto dipende, l´autrice si pone in pieno contrasto col pensiero dominante in Italia, che concepisce la morale come traduzione pratica di un primato assegnato ad altro, a una dimensione vuoi politica, religiosa, economica, scientifica, teoretica.

Chi assegna il primato alla morale può stare sicuro oggi in Italia di ricevere l´antipatica etichetta di «moralista», sinonimo nel linguaggio comune di persona noiosa e pedante, incapace di fare i conti con la vita concreta. Contro questo cinismo che conosce solo la logica del potere, De Monticelli scrive pagine di vera passione intellettuale attaccando il potere politico («l´interesse affaristico che si fa partito e prostituisce il nome di libertà»), mediatico («facce patibolari»), ecclesiastico («nichilismo morale»), intellettuale («disprezzo ardente per tutto ciò che è comune»). Leggi il resto di questo articolo »

Quel che fa paura in questa Italia balcanizzata non è il default del Paese, le mafie, la disoccupazione, ma la banalità del male. La sua quotidianità, il senso di leggerezza di fronte all’abisso delle coscienze. Le tragedie sono ridottela routine, non provocano più sorpresa, né angoscia o repulsione. Sono favole nere, medioevali che ci vengono raccontate a tavola, la sera, mentre ceniamo con i familiari. Echi di orrori trasformati in notizie. Un club di mostri che fanno da sfondo alle nostre giornate e di cui non ci curiamo perché appartengono alla categoria dell’ovvio, come le previsioni del tempo o l’andamento della Borsa. Leggi il resto di questo articolo »


Riferendosi ad alcuni episodi di corruzione, che hanno caratterizzato in questi ultimi mesi la vita politica italiana, i media hanno formulato l’ipotesi della nascita di una «società segreta», la P3, insieme comitato di affari e struttura sotterranea di potere che si propone di influenzare i vari ambitinei quali il potere ufficiale si dispiega. È difficile dire se (e come) sussista una vera analogia tra questa nuova società occulta e la P2, ma non vi è dubbio che esista una effettiva continuità tra il piano di Rinascita democratica di Licio Gelli, scoperto dalla magistratura agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso, e l’ipotesi di cambiamento del Paese messo in atto dai governi Berlusconi. Infatti, al di là della accertata appartenenza del premier alla P2 con tessera n° 1816 — pochi ricordano la condanna per falsa testimonianza comminatagli, in anni ormai lontani, a Venezia per aver mentito al giudice a proposito di tale appartenenza — sorprendenti sono gli aspetti di convergenza che esistono tra i due progetti. Leggi il resto di questo articolo »

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