GLR – CONSIDERAZIONI   (39)

ANNO III DEL REGIME SANITARIO-ECOLOGICO-DIGITALE

Le altre “GRL-CONSIDERAZIONI ” le trovate  QUI

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Non dire mai: a me non accadrà. Che poi accade che dal 9 marzo 2020 ( il giorno dell’avvento della prima dittatura sanitaria: leggi QUI ) la stragrande maggioranza di noi è crollata, ha accettato tutto ciò che veniva imposto da una classe politica ignobile, si è fatta manipolare e spaventare all’inverosimile, abdicando a principi, ideali e dignità personale. E non sta finendo ( leggi QUI e QUI).

Non dire mai: io non lo farei mai. Che poi accade che la stragrande maggioranza di noi ha accettato, senza nulla dire, il ritorno dell’apartheid con il green pass, ha accettato di essere complice dei crimini del Grande Reset, ha accettato mascherine, pseudovaccini, disinfettazione compulsiva, distanziamenti e disprezzo per chi non si piegava, ha accettato di non pensare, di non vedere, di morire. E non sta finendo.

Non dire mai: no, io no. Che poi la stragrande maggioranza di noi ha visto stravolti, senza nulla dire, la Carta Costituzionale, costata tanto sangue, la democrazia, il parlamento, i diritti, la libertà, la dignità, la cittadinanza. E non sta finendo.

Non dire mai: a me non accadrà. Che poi la maggioranza di noi ha perso la testa, la lucidità, il senso critico, la capacità di studiare, di capire, d’interpretare, di opporsi, di respingere l’ipnosi di massa. E non sta finendo.

Non dire mai: io non lo farei mai. Che poi accade che la stragrande maggioranza di noi sta assistendo, senza nulla dire, al decisivo avvento della biopolitica, del biopotere, del governare attraverso le emergenze continue, dell’avvento dell’emergenza climatica, ambientale, energetica, dell’avvento della dittatura digitale, della digitalizzazione totale della nostra vita, del controllo e della sorveglianza asfissiante. E sta appena iniziando.

Non dire mai: io non sarò mai servo, di nessuno. Che poi la stragrande maggioranza di noi ha scoperto di avere un istinto servile e gregario spaventoso e vomitevole (leggi QUI). E non sta finendo.

Non dire, mai. Vigila, invece. Vigila attentamente su ciò che accade intorno a te e, soprattutto, vigila sui demoni che sono in te, in noi di cui i demoni al potere si servono ampiamente.

Vigila, studia, informati, pensa e resisti!  Che tutto questo orrore sta appena iniziando.

Non dire. Vigila! (GLR)



 

 

La carezza del re

Ho incontrato in questi tre anni diverse persone che non si sono rassegnate alla divaricazione sperimentata tra le proprie posizioni (politiche, etiche, di lettura del momento storico, di preoccupazione per la direzione futura, di rilettura del passato) e quelle dei propri amici, congiunti, amanti, familiari, colleghi.

Qualcuno vive la cosa con stupore, qualcuno con indignazione, qualcuno con dolore, quasi tutti con perplessità. Chi in questa divaricazione si è trovato dalla parte del torto perché, brechtianamente, tutti gli altri posti erano occupati, chi ha cioè osato criticare pubblicamente le politiche pandemiche ha sofferto di più perché ha dovuto giustificare a se stesso la sua contrarietà alla narrazione prevalente.

Le domande di ognuno, a volte esplicitate e a volte desunte dall’interlocutore nella conversazione, si soffermano sulle ragioni e sulle conseguenze di tutto questo: cosa è successo agli altri? Perché è successo solo a me? La nostra comunanza di idee era falsa anche prima o si è spezzata di fronte all’ “evento pandemico”? Come può una persona così intelligente credere a tutto questo? Come può uno con la sua cultura schiacciarsi su una narrazione così rozza? Come fare a mantenere un rapporto proficuo con una società simile? Come serbare un rapporto con persone così importanti per me quando io penso così male di loro e loro così male di me?

E quando questo nostro individuo perplesso si guarda mestamente intorno o si confronta con altri con cui abbia comunanza di lettura degli eventi, i criteri di spiegazione latitano. Sono davvero così diverso dai miei venticinque colleghi o dai miei otto parenti per cui politiche e disposizioni governative non hanno costituito il minimo problema? E cosa mi rende diverso?

Il “cosa” è appunto il problema: se questo “cosa” sia ostensibile, insegnabile (vecchia questione platonica) o perlomeno comunicabile. Cosa si cela insomma dietro una simile divaricazione?


D’altra parte non sembra notarsi, conversando con gli amici che hanno scelto la mozione di maggioranza, un analogo desiderio di sapere o di capire. Il fare parte della maggioranza sembra esentarli da questa riflessione antropologico-sociologica.


Come cantava De André “la maggioranza sta […] come un’anestesia/ come un’abitudine” e tra gli effetti della mera forza del numero vi è indubbiamente quello di non doversi mai giustificare a se stessi. Forse questa stessa esenzione dall’aculeo del pensiero potrebbe essere una delle motivazioni profonde per cui si è abbracciata la maggioranza: mi adeguo e non ci penso più.

Qualche tentativo di spiegazione di queste profonde differenze si è avuto da parte degli intellettuali integrati, degli apologeti delle magnifiche sorti sanitarie, di chi olia la macchina della comunicazione e si preoccupa che elementi estranei non la contaminino.

Ma costoro mai sono andati oltre il triplice marchio che attende oramai sempre i dissidenti: ignoranza, malafede e follia. Cito, ad esempio di ciò e a futura memoria, Nella mente di un No-Vax, un articolo di Luc Ferry, intellettuale francese e in passato ministro con Chirac presidente.

L’ignoranza come condizione strutturale, la malafede magari per oscuri guadagni (idea grottesca considerando i costi, emotivi, logistici, economici, amicali, professionali, mediatici di una posizione minoritaria in questi tre anni) e infine una personalità disturbata e dunque attirata da posizioni ideali insostenibili sono solitamente i temi prediletti.

Vi sarebbe anche l’argomentum bersaniano, utilizzato da Bersani più volte, che vede nei filosofi non allineati (Agamben, Cacciari, Zhok ecc.) un eccesso di intelligenza male utilizzata, di sofismi, che li porta a pensare assurdità.

Un pensiero degno di un parroco poco scolarizzato dei primi decenni dell’Ottocento, magari quello cantato dal Belli in un suo sonetto che predicava “li libbri nun zò robba da cristiani, fijji pe ccarità, nnu li leggete” e che pronunciato da quello che fu per un breve periodo il leader della sinistra italiana penso ben valga come manifestazione dello spirito del mondo (ogni epoca ha il napoleone che si merita).

Nulla comunque da cui si possa capire qualcosa di più su ciò che ha portato gli italiani, seppur asimmetricamente, su sponde così lontane e opposte. Pensare il cittadino dissidente come pazzo, ignorante o disonesto e il cittadino filogovernativo come servile e interessato non permettono di andare molto oltre. Neppure le spiegazioni che vertono sulla ipocondria (orientata sia verso il virus che verso il vaccino) ci portano molto avanti nella comprensione, adatte come sono più a una seduta di psicoterapia che a un seminario di sociologia e filosofia.

Altri criteri facili come l’appartenenza ideologica (sempre giocata sul discrimine destra/sinistra così come lo abbiamo considerato in questi anni, cioè un rudere non leggibile di ciò che fu un tempo) funzionano ancor meno.

I principali e pochissimi intellettuali che si sono opposti (prendere in considerazione questa categoria, in questo caso, acquisisce un particolare senso giacché essa dovrebbe essere portatrice, se non altro, di una maggiore consapevolezza della propria posizione ideologica) appartengono a tutte le posizioni: destra conservatrice, destra cattolica, libertarismo, liberalismo, sinistra marxista, sinistra non marxista, anarchismo, sovranismi vari. Tutti presenti sebbene in minima misura (si potrebbe dire uno per specie, come per l’arca di Noè).

Anche sostituendo alle categorie della politica di massa le tradizioni filosofiche o gli ambiti disciplinari il discorso non cambia molto: analitici, continentali, filosofi della politica, del diritto, filosofi morali, estetologi eccetera. La tendenza arca (al massimo due per specie) continua a vigere.

Ognuno è arrivato al suo “gran rifiuto” con gli strumenti che aveva: con gli strumenti del pensiero libertario e con quello comunista, attraverso il concetto di dignità della persona o quello di privacy. Persino itinerari che in teoria avrebbero dovuto aprire gli occhi (ad esempio una frequentazione delle opere foucaltiane e in generale della biopolitica) non sembrano aver sortito significativi effetti.

Ancora meno significativa sembra l’applicazione di un criterio culturale. La pandemia per come è stata con assoluta fermezza raccontata dei media principali non ha convinto, quando non ha convinto, tanto gli ignoranti che i colti, tanto gli orecchianti che i profondi studiosi.

Semmai, a pensarci, tra i principali oppositori culturali si sono visti ottantenni grandi interpreti delle loro discipline (si pensi a Canfora, Agamben e Cardini) e pochi cinquantenni.

Si potrebbe ipotizzare negli intellettuali meno giovani una minore paura nel prendere posizioni che, se più giovani, potrebbero causare la brusca interruzione della propria luminosa carriera. Oppure, a voler essere meno malevoli, si potrebbe ipotizzare che l’età avanzata permetta di cogliere l’essenza transumana e postdemocratica delle scelte politiche degli ultimi anni mentre i più giovani sarebbero già coinvolti in un processo di mitridatizzazione. Quale, allora, potrebbe essere il criterio per orientarsi tra le scelte degli italiani, intellettuali o meno che siano?

Ad una più cauta riflessione penso che i criteri che possano far da bussola in questa strana vicenda siano essenzialmente due, di cui uno originario e prioritario rispetto all’altro. Quello secondario ma che, magari in altra sede, meriterebbe comunque un’analisi rigorosa riguarda la nostra, per dir così, “dieta cognitiva”: come ci informiamo? Come distribuiamo le nostre personali patenti di autorevolezza? Cosa è degno della nostra fiducia? Cosa vale in ciò che sentiamo o vediamo o leggiamo? La cultura e l’onestà di chi parla? L’organizzazione che lo ospita? Quella che lo paga (qualora non coincidano con la precedente)? Come analizziamo le credenziali delle nostre fonti di informazione?

Ma già da queste domande appare in controluce la vera questione che è rappresentata dal nostro rapporto con il potere e di cui il rapporto con i media è solo una emanazione. L’autorevolezza che attribuiamo ai media è solo il riflesso della autorevolezza che concediamo al sistema nel suo complesso, di quella idea fondamentale che ci fa vedere le figure apicali della nostra vita associata come difficilmente attaccabili e fornite di una intenzionalità sempre buona.

Si potrebbe pensare che l’esperienza del Novecento che tanto sbandieriamo in riti civili di rammemorazione sia servita solo a focalizzare il male, a collocarlo tutto in un luogo per poterlo considerare eliminato.

Il nazismo e il fascismo (e nei casi di maggiore estensione anche lo stalinismo) svolgono la funzione del branco di porci del brano evangelico dentro cui vengono cacciati da Cristo i demoni e poi spinti giù da un burrone a strapiombo sul mare. Li mettiamo lì, così ce ne liberiamo (la straussiana reductio ad hitlerum, in fondo) o, più realisticamente, diciamo di averli messi lì così possiamo pensarci esenti da ogni male.

Non è lo stesso se il potere e chi lo incarna mi è padre e madre o se è per me è poco più di un amministratore condominiale o, ancora, se è un male necessario effetto dalla complessità della vita associata. Non sono posizioni (del resto solo un esempio delle tante possibili) equivalenti. Se sentite e vissute, non certo se pronunciate per sfoggio su giornali e in seminari, danno vita a modi di vivere gli eventi sociali e politici del tutto diversi.


Chi ha accettato la sbilanciata narrazione degli eventi del triennio dell’emergenza ha da subito conferito al potere la propria intera fiducia dando per ovvia l’intenzione benevola e sollecita del potere verso di lui e ha ritenuto di non doverla ritirare neppure di fronte a notizie controverse di cui, forse, veniva a conoscenza.

Modificare la narrazione, nel momento in cui essa è stata incardinata a questioni come la salvezza della nazione, la vita di uomini e donne, significherebbe dover modificare la propria immagine del potere in modo persino doloroso e dunque modificare anche l’immagine delle tendenze generali della nostra società. Significa pensare che il presidente, il primo ministro, il ministro della salute possano non essere rappresentanti del bene o comunque non sapere esattamente cosa stiano facendo o subire la pressione di istanze e tendenze degli altri poteri politici ed economici.


Partendo da questo concetto anche eventuali indagini sul rapporto tra posizioni sanitarie, ceti e professioni ne verranno illuminate: uomini e categorie che sono state tutelate e promosse dallo Stato tenderanno a fidarsene maggiormente. Chi invece ha conosciuto l’indifferenza e persino la cattiveria di certe decisioni politiche non sarà disponibile ad una concessione di fiducia così perentoria e definitiva.

Abitare dunque un mondo dove la fiducia va concessa di volta in volta, dove non riposa dopo essere stata concessa.

La figura dell’autorità, e ciò vale per il vigile come per il preside, per il prefetto come per il magistrato, non riceve in automatico “il carisma” dell’infallibilità. Tutto ciò significa abitare un mondo radicalmente diverso, coltivare un rapporto con il mondo più faticoso e ansiogeno.


Ovviamente in una società della paura e del controllo questo bisogno dei singoli cittadini di conferire una pienezza di fiducia senza scadenze aumenta e ciò ovviamente rende l’emergenza altamente desiderabile. Il dissidente, con piccolo slittamento fonetico, è dunque il diffidente, colui che non rilascia cambiali in bianco.


Sebbene i rischi di paranoia siano impliciti in questo esercizio del sospetto se generalizzato, nondimeno dovrebbero colpire altrettanto i rischi schizoidi dei “fiduciosi”, di coloro che si trovano a esercitare nella vita privata e nell’esperienza comune una legittima diffidenza che poi eliminano nel rapporto con il potere dello Stato.

Pensano insomma che non sia detto che il capoufficio sia ben intenzionato e neppure il vicino, che non è detto che il professore del figlio sia preparato né il vigile che li multa equanime ma che, salendo nella scala del potere, (per giunta una scala abitata da una classe politica che gli italiani disprezzano persino eccessivamente) per una particolare “unzione sacerdotale” che a me è evidentemente sfuggita si raggiunga la santità nelle figure apicali.

Ad ogni modo sarebbe il caso che anche i “fiduciosi” ricordassero che la democrazia è basata sul controllo dei governanti da parte dei governati e ciò implica un misurato sospetto e che pensare il potere con una misurata diffidenza significa provare a renderlo migliore.

Davide Miccione, filosofo   Avanti.it   20/11/2022

 

 

scrittore francese ( 1872-1956)

 

 

Può esserci democrazia senza corpi intermedi?

Ci sono domande forse sciocche, ma anche le sciocchezze esprimono a volte un problema. Una democrazia non può esistere senza una sfera pubblica discorsiva. Ma quali sono oggi i luoghi attraverso cui ci si può formare un’opinione certo fallibile, incerta ma comunque razionale?

Non esistono più i corpi intermedi, i partiti politici, ormai dominati da elites e basati su strutture leaderistiche al cui interno sono possibili scontri di potere tra fazioni, ma non dibattiti. I giornali sono ormai solo fonte di disinformazione e propaganda. Si inventano il reale.

FB poteva essere un luogo di dibattito libero, ma – probabilmente per la nostra immaturità o per ragioni strutturali – di fatto è solo un luogo di propaganda ormai, di bolle chiuse, di nicchie di significato che non comunicano.

Resta da chiedersi se una democrazia sia ancora possibile, quale trasformazione stia subendo. Forse sta cambiando di significato, forse da cittadini siamo divenuti solo tifosi. E se fosse così sarebbe molto misera come democrazia, sarebbe già destinata a trasformarsi o in oligarchia o in demagogia. E forse sono queste due opzioni che si stanno scontrando oggi.

 

E forse la colpa non è del potere, non soltanto. Forse è colpa di ognuno di noi. Perché forse non può esistere una democrazia senza cultura democratica, educazione alla discussione razionale, senza responsabilità da parte di chi vi partecipa.

Forse la rimpiangeremo, e come sempre daremo la colpa al potere. Ma il potere nulla potrebbe se non fossimo noi, ognuno di noi, il suo agente segreto.

 

Vabbè, starete pensando che con tutti i problemi che abbiamo questa è una questione oziosa. E forse è così.

Vincenzo Costa,  https://www.lantidiplomatico.it/   21/11/2022

Vincenzo Costa è professore ordinario alla Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele, dove insegna Fenomenologia (triennale) e Fenomenologia dell’esperienza (biennio magistrale). Ha scritto molti saggi in italiano, inglese, tedesco, francese e spagnolo, apparsi in numerose riviste e libri collettanei. Ha pubblicato 20 volumi, editato e co-editato molte traduzioni e volumi collettivi. Il suo ultimo lavoro è Psicologia fenomenologica (Els, Brescia 2018).

 

 

 

 

Un lucidissimo articolo del grande filosofo italiano ( conosciuto in tutto il mondo) Giorgio Agamben ( articolo che noi abbiamo già pubblicato e che riproponiamo assolutamente), uno dei primi a prendere netta posizione contro la dittatura sanitaria legata ai progetti criminali del Grande Reset. Uno dei primi a porsi le tragiche domande: come è potuto accadere? Come è potuto avvenire che democrazia, repubblica, dignità personale si siano sciolti al sole come neve?

Uno dei primi dei pochissimi intellettuali che hanno deciso di usare la propria grande cultura e le proprie capacità intellettuali per gridare la propria opposizione a ciò che stava accadendo ( e che sta accadendo ancora) e che per questo ha ricevuto insulti e dileggio dagli gnomi del mainstream asservito. E che non ha mai receduto come dimostra l’articolo che poi segue, più recente.

Dove forse troviamo una risposta alla domanda: come è potuto avvenire?


Una domanda

La peste segnò per la città l’inizio della corruzione… Nessuno era più disposto a perseverare in quello che prima giudicava essere il bene, perché credeva che poteva forse morire prima di raggiungerlo.

Tucidide, La guerra del Peloponneso, II, 53

 

Vorrei condividere con chi ne ha voglia una domanda su cui ormai da più di un mese non cesso di riflettere. Com’è potuto avvenire che un intero paese sia senza accorgersene eticamente e politicamente crollato di fronte a una malattia?

Le parole che ho usato per formulare questa domanda sono state una per una attentamente valutate. La misura dell’abdicazione ai propri principi etici e politici è, infatti, molto semplice: si tratta di chiedersi qual è il limite oltre il quale non si è disposti a rinunciarvi.

Credo che il lettore che si darà la pena di considerare i punti che seguono non potrà non convenire che – senza accorgersene o fingendo di non accorgersene – la soglia che separa l’umanità dalla barbarie è stata oltrepassata.

1) Il primo punto, forse il più grave, concerne i corpi delle persone morte. Come abbiamo potuto accettare, soltanto in nome di un rischio che non era possibile precisare, che le persone che ci sono care e degli esseri umani in generale non soltanto morissero da soli, ma che – cosa che non era mai avvenuta prima nella storia, da Antigone a oggi – che i loro cadaveri fossero bruciati senza un funerale?

2) Abbiamo poi accettato senza farci troppi problemi, soltanto in nome di un rischio che non era possibile precisare, di limitare in misura che non era mai avvenuta prima nella storia del paese, nemmeno durante le due guerre mondiali (il coprifuoco durante la guerra era limitato a certe ore) la nostra libertà di movimento. Abbiamo conseguentemente accettato, soltanto in nome di un rischio che non era possibile precisare, di sospendere di fatto i nostri rapporti di amicizia e di amore, perché il nostro prossimo era diventato una possibile fonte di contagio.


3) Questo è potuto avvenire – e qui si tocca la radice del fenomeno – perché abbiamo scisso l’unità della nostra esperienza vitale, che è sempre inseparabilmente insieme corporea e spirituale, in una entità puramente biologica da una parte e in una vita affettiva e culturale dall’altra. Ivan Illich ha mostrato, e David Cayley l’ha qui ricordato di recente, le responsabilità della medicina moderna in questa scissione, che viene data per scontata e che è invece la più grande delle astrazioni. So bene che questa astrazione è stata realizzata dalla scienza moderna attraverso i dispositivi di rianimazione, che possono mantenere un corpo in uno stato di pura vita vegetativa.


Ma se questa condizione si estende al di là dei confini spaziali e temporali che le sono propri, come si sta cercando oggi di fare, e diventa una sorta di principio di comportamento sociale, si cade in contraddizioni da cui non vi è via di uscita.


So che qualcuno si affretterà a rispondere che si tratta di una condizione limitata del tempo, passata la quale tutto ritornerà come prima. È davvero singolare che lo si possa ripetere se non in mala fede, dal momento che le stesse autorità che hanno proclamato l’emergenza non cessano di ricordarci che quando l’emergenza sarà superata, si dovrà continuare a osservare le stesse direttive e che il “distanziamento sociale”, come lo si è chiamato con un significativo eufemismo, sarà il nuovo principio di organizzazione della società. E, in ogni caso, ciò che, in buona o mala fede, si è accettato di subire non potrà essere cancellato.


Non posso, a questo punto, poiché ho accusato le responsabilità di ciascuno di noi, non menzionare le ancora più gravi responsabilità di coloro che avrebbero avuto il compito di vegliare sulla dignità dell’uomo.

Innanzitutto la Chiesa, che, facendosi ancella della scienza, che è ormai diventata la vera religione del nostro tempo, ha radicalmente rinnegato i suoi principi più essenziali.

La Chiesa, sotto un Papa che si chiama Francesco, ha dimenticato che Francesco abbracciava i lebbrosi. Ha dimenticato che una delle opere della misericordia è quella di visitare gli ammalati. Ha dimenticato che i martiri insegnano che si deve essere disposti a sacrificare la vita piuttosto che la fede e che rinunciare al proprio prossimo significa rinunciare alla fede. Un’altra categoria che è venuta meno ai propri compiti è quella dei giuristi.


Siamo da tempo abituati all’uso sconsiderato dei decreti di urgenza attraverso i quali di fatto il potere esecutivo si sostituisce a quello legislativo, abolendo quel principio della separazione dei poteri che definisce la democrazia.


Ma in questo caso ogni limite è stato superato, e si ha l’impressione che le parole del primo ministro e del capo della protezione civile abbiano, come si diceva per quelle del Führer, immediatamente valore di legge. E non si vede come, esaurito il limite di validità temporale dei decreti di urgenza, le limitazioni della libertà potranno essere, come si annuncia, mantenute. Con quali dispositivi giuridici? Con uno stato di eccezione permanente? È compito dei giuristi verificare che le regole della costituzione siano rispettate, ma i giuristi tacciono. Quare silete iuristae in munere vestro?

So che ci sarà immancabilmente qualcuno che risponderà che il pur grave sacrificio è stato fatto in nome di principi morali. A costoro vorrei ricordare che Eichmann, apparentemente in buon fede, non si stancava di ripetere che aveva fatto quello che aveva fatto secondo coscienza, per obbedire a quelli che riteneva essere i precetti della morale kantiana.


Una norma, che affermi che si deve rinunciare al bene per salvare il bene, è altrettanto falsa e contraddittoria di quella che, per proteggere la libertà, impone di rinunciare alla libertà.


Giorgio Agamben, filosofo  https://www.quodlibet.it/ aprile 2020

 

 

 

Angeli e demoni

I discorsi che si sentono oggi così spesso ripetere sulla fine della storia e sull’inizio di un’epoca postumana e poststorica dimenticano il semplice fatto che l’uomo è sempre in atto di diventare umano e quindi anche di cessare di esserlo e per così dire di morire all’umano. La pretesa di una raggiunta animalità o compiuta umanità dell’uomo alla fine della storia non rende conto di questa costitutiva incompiutezza dell’essere umano.

Considerazioni simili valgono anche per i discorsi sulla morte di Dio. Così come l’uomo è sempre in atto di diventare umano e di cessare di esserlo, così anche il diventar divino di Dio è sempre in corso e mai compiuto una volta per tutte. In questo senso va intesa la frase di Pascal su Cristo in agonia fino alla fine dei tempi.

In agonia – cioè, secondo l’etimo, in lotta o in conflitto con la propria divinità, per questo mai morto, ma sempre per così dire a se stesso morente. L’unico senso della storia umana è in questa incessante agonia e le chiacchiere sulla fine della storia sembrano ignorare il fatto – pure evidente – che la storia è sempre in atto di finire.

Di qui insistenza dell’ultimo Hölderlin sui semidei e sulle figure quasi divine o più che umane. La storia è fatta da esseri già e non ancora divini, già e non ancora umani: vi è, cioè, una “semistoria” così come vi sono semidei e quasi uomini.

Per questo le uniche chiavi per interpretare la storia sono l’angelologia e la demonologia, che vedono in essa – come avevano fatto i Padri e Paolo stesso, quando chiama angeli (o demoni) le potenze e i governi di questo mondo – una lotta senza tregua fra meno che dèi e più – o meno – che uomini.


E se qualcosa possiamo dire sulla nostra condizione presente è che negli ultimi due anni abbiamo visto con inaudita chiarezza i demoni ferocemente all’opera nella storia e gli indemoniati seguirli cecamente nel loro vano tentativo di scacciarne per sempre gli angeli – quegli angeli che, del resto, prima della loro infinita caduta nella storia, essi stessi erano.


Giorgio Agamben, filosofo   https://www.quodlibet.it/  4/8/ 2020

 

 

 

 

 

 

Incredibile video canzone del 1990 che descrive quello che accade oggi!

Uno straordinario brano musicale degli Eagle Black 07, gruppo musicale, specializzato nel reggae, fondato a New York nel 1974. C’era qualcuno che pensava, vedeva, capiva cosa ci aspettava… Ricordiamo che il numero 666 nella Kabbala ebraica indica il diavolo. Appunto…

 


Vedi e ascolta:

una-canzone-del-1990


 

 

ANNO III DEL REGIME SANITARIO-ECOLOGICO-DIGITALE

 

 

 

Tanti interventi e riflessioni fatte dai rappresentanti delle Liste Antisistema, che si sono presentate alle elezioni, li trovate nei sei GLR-NOTIZIE-VOTO,  QUI.

Pur se sconfitti, le loro analisi rimangono preziosissime per continuare la Resistenza.

 

Ultimi articoli che vi raccomandiamo di leggere e rileggere:

Il nodo scorsoio e il fritto.

Biopolitica e biopotere: i nostri corpi proprietà dello stato.

GLR-NOTIZIE  109 - 11/11/2022 - Zitti e morti.

Verso la dittatura digitale (13). Morte in 5g

Nessuna pacificazione!

Pericolo vaccino (37).

Vaccino: un maledetto imbroglio

La strada verso l’inferno (3): il verminaio del Grande Reset.

La strada verso l’inferno (2): Deep State

GLR-CONSIDERAZIONI  38. “Istruitevi, perchè avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza”

 

Il sito di La PekoraNera riporta un prezioso elenco continuamente aggiornato di notizie su malori e morte improvvise, assolutamente in continuo aumento. I giornali citati nell’elenco quasi mai creano una correlazione tra vaccinazione e malori o morti improvvise.

Ma sappiamo ( o dovremmo sapere) che siamo sotto un regime sanitario, quindi… Comunque a voi leggere, sapere  e riflettere.

LEGGERE QUI

 

Raccolta di sospetti eventi avversi da “vaccini anti Covid-19”, in ordine cronologico, provenienti dalla stampa italiana e internazionale. Inseriti così come pubblicati in origine, anche in lingua originale non tradotta. Lista aggiornata continuamente.

Vedi QUI

 

Tante notizie sui danni delle mascherine, dei tamponi e degli pseudo-vaccini QUI

 

Leggi “GLR-NOTIZIE” e “ GLR-NOTIZIE FLASH” precedenti QUI

 

 

INFORMAZIONI DI RESISTENZA

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