Gli italiani sono prevalentemente cattolici – nonostante un forte calo di fedeli negli ultimi anni, dal 79% del 2000 al 60% attuale. Eppure c’è una stonatura di fondo, una voce collettiva che stride con il cattolicesimo e i suoi precetti. La gente che va in chiesa, che bacia il santino prima di andare a dormire e che tiene il Vangelo sul comodino, per larghi tratti è la stessa che impacchetterebbe i migranti per spedirli su Marte, o il più lontano possibile dalla propria vista.

Purtroppo a questi sfugge un piccolo particolare: anche Gesù era un profugo.

In questi giorni è nato un caso sulle parole di don Luca Favarin, prete che a Padova gestisce diverse comunità per l’accoglienza. Con il Natale alle porte, come ogni anno sono riaffiorati i discorsi su un’icona della Natività: il presepe. Don Luca, però, è andato oltre, allargando la questione fino a descrivere i paradossi dei nostri tempi. Ha infatti dichiarato: “Oggi fare il presepe è ipocrita. Il presepe è l’immagine di un profugo che cerca riparo e lo trova in una stalla. Esibire le statuette, facendosi magari il segno della croce davanti a Gesù bambino, quando poi nella vita di tutti i giorni si fa esattamente il contrario, ecco tutto questo lo trovo riprovevole”.

Non si è limitato ai crismi dell’astrattismo, ha toccato il nerbo della questione quando ha fatto un esempio concreto: “Il nuovo Decreto Sicurezza costringe le persone a dormire per strada. […] Applaudire il decreto di Salvini e preparare il presepe è schizofrenia pura. Come dire: accolgo Dio solo quando non puzza, non parla, non disturba. Lo straniero che incontro per strada, invece, non lo guardo e non lo voglio. […] Vorrei ricordare ai cristiani che ci sono migliaia di Gesù-bambino in giro per le strade, sotto i ponti”.

Ovviamente Salvini rappresenta l’esponente principale di questa ipocrisia. Durante l’ultima campagna elettorale, nella quale ogni mezzo era concesso per raccattare consensi, ha persino giurato sul Vangelo davanti alla folla di piazza Duomo a Milano. Usare la fede come propaganda, per poi non seguire alcun passaggio del testo su cui ha giurato, rientra nelle caratteristiche del personaggio.

Aggrapparsi al Vangelo come a un feticcio da esibire per imbonirsi una cospicua fetta di popolo, ovvero la maggioranza degli italiani, rappresenta un insulto sia per i credenti, sfruttati semplicemente a scopo elettorale, che per l’insindacabile laicità dello Stato.

Puntuale, infatti, è arrivato il tweet di Salvini in risposta alle polemiche di don Favarin: “Giù le mani dal presepe”. Cinque parole per sviare la questione principale, rivendicare la sua (contorta) cristianità e attaccare il nemico. Molto efficace. La gogna virtuale per don Favarin non si è fatta attendere. Chi l’ha definito “la vergogna della Chiesa” è stato il più educato tra i commentatori, in mezzo al solito marasma di insulti.

Non è però l’unico prete che ha subito la sassaiola leghista. A Pistoia è stato chiuso il centro di accoglienza di don Biancalani, ufficialmente per motivi di sicurezza, alcuni cavilli legati a irregolarità della cucina e del locale tecnico. In passato alcuni esponenti di Forza Nuova si erano presentati a una messa celebrata dal prete, come per monitorare le sue parole, minacciandolo con la loro stessa presenza. Anche in questo caso, e non poteva essere altrimenti, Salvini si è scagliato contro don Biancalani, scrivendo: “Tempi duri per il prete amico dei clandestini”.

Monsignor Adriano Tessarollo, vescovo di Chioggia, è un altro nemico giurato del nuovo esecutivo. Ha commentato così le nuove polemiche: “Strumentalizzano il presepe. Loro parlano alla pancia della gente per ottenere il consenso, senza capire che in questo modo aizzano gli italiani contro gli immigrati. Agevolano il rigurgito dei peggiori luoghi comuni”.

Don Paolo Farinella, un parroco di Genova, invece si è spinto oltre: ha deciso di chiudere la sua chiesa durante le festività natalizie per “obiezione di coscienza”, protestando contro il decreto Salvini. Secondo don Paolo, ogni migrante espulso equivale a espellere quel Gesù di Nazareth di cui si celebra la nascita.

Anche Don Luigi Ciotti, attivo nel sociale e fondatore di Libera, ha più volte criticato le mosse del nuovo governo. Oltre alla ben nota manifestazione delle magliette rosse, che i gialloverde hanno dileggiato in ogni modo, è entrato in conflitto con il leader della Lega in diverse occasioni. Per quanto concerne il Decreto Sicurezza, l’ha definito “disumano, che calpesta l’umanità”. Sono tempi duri, insomma, per il politico che giura sul Vangelo.

Qualcuno potrebbe sostenere che siamo di fronte a poche sparute mosche bianche del mondo cattolico. Niente di più sbagliato, considerando che certe parole, garbate ma affilate, sono arrivate anche dal Papa. Ritornando al tema del Natale, lo scorso anno, durante l’omelia natalizia, ha detto: “Maria e Giuseppe, per i quali non c’era posto, sono i primi ad abbracciare colui che viene a dare a tutti noi il documento di cittadinanza”. Già in altre occasioni Papa Francesco aveva fatto parallelismi tra i profughi e Gesù, come quando disse: “Sulla via dolorosa dell’esilio, in cerca di rifugio in Egitto, Giuseppe, Maria e Gesù sperimentano la condizione drammatica dei profughi, segnata da paura, incertezza, disagi”. Ha poi più volte denunciato i silenzi complici sulle migliaia di migranti morti, invitando ad accogliere gli oppressi del mondo.

Parole che non sono andate giù agli hater seriali. Anche il filosofo Diego Fusaro, dall’alto del suo ego, si è permesso di fare mansplaining sulla religione al Papa: “Francesco si sta mettendo al servizio della mondializzazione e dello sradicamento capitalistico. Sembra ispirarsi a Soros più che a Cristo”. Per quanto inserire Soros all’interno di una supercazzola sia il suo hobby preferito, viene difficile comprendere le finalità del suo discorso. Che poi sono le stesse dei cattolici a intermittenza, ovvero i fratelli di Salvini che battagliano per il crocifisso nelle scuole e poi trattano i migranti come bestie.

In fatto di ipocrisie, però, risulta difficile non annoverare anche quelle della Chiesa stessa. I testi sacri descrivono tutti gli uomini uguali davanti a Dio e alla sua misericordia. Eppure la Chiesa ha sempre fatto distinzioni, ad esempio tra figli e figliastri, ma non solo. Perché un profugo viene considerato un figlio di Dio, da accogliere e rispettare; se però questo profugo fosse omosessuale, magari con una confezione di preservativi in tasca, probabilmente la visione del Vaticano cambierebbe.

Lo svecchiamento della Chiesa, o il tentativo di recuperare il passo perduto, ha trovato terreno fertile nella figura di un Papa “pop”, ma non ha ancora risolto le sue contraddizioni interne, la permanenza di alcuni tabù difficili da sradicare. È già tanto che la Terra venga considerata rotonda e non più piatta.

Servirebbe però una maggior coerenza con le radici del pensiero cristiano. Quindi non lasciare indietro gli ultimi. Tutti, anche quelli considerati scomodi.

Durante il Natale le chiese si riempiranno, le famiglie faranno il loro presepe e tutti si scambieranno un segno di pace per assolvere i propri peccati e ripulire come ogni settimana le coscienze. Poi potranno tornare al linciaggio contro gli immigrati, al rifiuto dell’accoglienza e al collasso di quei valori cristiani che ostentano senza possedere.

La figura di Cristo usata come totem immobile, come effigie di una consolazione da cercare in superficie, continuerà a blandire le anime in cerca di autoassoluzione. Verrà riservata sicuramente molta cura al muschio del presepe, alle lucine posizionate per far risaltare la stella cometa, mentre “al freddo e al gelo” ci saranno gli esseri umani spediti per strada dal ministro che giurava sul Vangelo. Cioè su un libro che parla di un profugo.

Mattia Madonia       in The Vision 5 dicembre 2018

 

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