La sera del 2 gennaio 1849  la popolazione di Roma venne convocata a piazza Santi Apostoli per formare un corteo che arrivò al Campidoglio con le bandiere dei rioni, bande musicali, la Guardia Civica e le truppe di stanza a Roma con l’artiglieria. La grande folla gremì la piazza del Campidoglio. Così ricorda,  nella sua Cronaca, l’artista olandese J. Philip Koelman, presente in quei giorni a Roma:

Fra l’avvicendarsi di luci rosse, verdi e bianche, i colori dell’Italia, si vide il veneziano abate Rambaldi salire sul piedistallo del monumento ( A Marco Aurelio) e arringare la folla…”

Quell’abate si chiamava Don Giovanni Battista Rambaldi, uno dei tanti dimenticati dei protagonisti della Repubblica Romana, e disse:

“… Popolo di Roma, tu sei chiamato, se vuoi, a infondere la potenza vitale  alla nostra infelicissima Italia e ricomporne le sparse membra che si vogliono disgregate e oppresse dalle nere congreghe e dai vescovi…  Io sacerdote di Cristo sento tutta la coscienza di chiamarti dal Campidoglio alla libertà e alla indipendenza, perché il principio di questo tuo diritto vive eterno nel Vangelo…  Con questo pensiero ritirati nelle tue case… col quel contegno tranquillo e dignitoso che è la più eloquente risposta che tu possa dare ai tuoi congiurati nemici. Frattanto sia uno e concorde il grido: Viva la Costituente Romana iniziatrice della Costituente italiana”.

Pochi mesi dopo, dal 30 aprile alla fine di giugno del 1849, per difendere tutto questo dall’attacco a Roma da parte dell’oscurantismo ecclesiastico di Pio IX attraverso l’esercito francese, austriaco, spagnolo e borbonico, più di mille tra uomini, donne, giovani, bambini e anziani sacrificarono la loro vita e più di 3500 furono feriti. Da Roma alle Marche, dall’Umbria alla Romagna, dai confini meridionali del Lazio ( i confini dell’ex Stato della Chiesa ora Repubblica Romana) al mare. La battaglia per la difesa di ciò che don Rambaldi descrive ebbe il suo punto più alto, drammatico, eroico sul Gianicolo. La maggior parte dei difensori combattè, morì, rimase ferita sulla via Aurelia, tra le mura Gianicolensi e i suoi bastioni, tra le sue chiese, le sue porte, i suoi ruderi antichi, le sue ville patrizie, i suoi splendidi parchi nobiliari, i suoi casini di caccia e le sue tranquille strade. Dopo la battaglia rimasero i ruderi di Porta San Pancrazio, del Casino dei Quattro Venti, di villa del Vascello, di villa Spada, di villa Savorelli, di S. Pietro in Montorio, delle varie batterie di cannoni, dalla Montagnola al Pino;  rimasero le ferite nelle mura provocate dalle brecce francesi; rimasero le case, i palazzi e le chiese di Roma sbrecciate dai colpi dei cannoni di Oudinot, generale francese; rimasero le ambulanze per Roma ( gli ospedali militari organizzati dalla coraggiosa Cristina Trivulzio Belgiojoso e dalle sue generose trecento donne infermiere ante litteram) con il loro carico dolente di feriti: la Trinità dei Pellegrini, S. Maria della Scala, i Sette Dolori, i Fatebenefratelli, S. Spirito, S. Giovanni , S. Urbano, S. Teresa a Porta Pia e tante altre, dove morirono personaggi noti ( Mameli, Manara, Dandolo, Morosini) e oscuri cittadini, studenti, operai, casalinghe, contadini, intellettuali, popolani, bambini non meno importanti ma… dimenticati .

Rimase la Strada del Sangue ( da Porta S. Pancrazio alla Trinità dei Pellegrini), come venne chiamata per la scia di sangue che si era formata per terra nel via vai delle barelle dei feriti. Rimasero i migliaia di esuli ( tra i quali Mazzini, Garibaldi, Pisacane) in fuga per l’Italia e l’Europa, rimasero quelli che morirono di stenti in questa fuga ( coma Anita Garibaldi). Rimasero quelli che non morirono sul Gianicolo ma furono giustiziati più tardi dagli Austriaci ( Bassi, Livraghi, Ciceruacchio e altri) e quelli che furono giustiziati o imprigionati per anni dalla repressione papalina dopo il 1849. Rimasero i ruderi di un’altra Unità d’Italia che passava per la Repubblica Romana e quella di Venezia ( che verrà soffocata nell’agosto del 1849). Un’altra Unità d’Italia che passava per Mazzini, Garibaldi, Pisacane, Mameli ( per questo durante il cammino abbiamo portato due cartelli con le immagini di Mazzini e Garibaldi, i due Padri mancati della Patria, un’altra Patria per italiani altri…). Il sogno di una Repubblica vera.

“La Repubblica è anzitutto principio d’amore, di maggior incivilimento, di progresso fraterno con tutti e per tutti, di miglioramento morale,  intellettuale, economico per l’universalità dei cittadini… è il principio del  bene su quello del male, del diritto comune sull’arbitrio di pochi, della  Santa Eguaglianza sul Privilegio e il Dispotismo…”  Giuseppe Mazzini 1849

Rimase un’eredità, là sul Gianicolo. Un’eredità che non è solo la memoria, anche mitica, dei mille episodi di eroismo, dell’esempio, della martiria ( testimonianza in greco), del coraggio, dell’Utopia. Rimase, soprattutto, una Costituzione straordinaria e modernissima promulgata, con Roma già occupata dai Francesi, il 3 luglio. Rimase un’idea alta di democrazia, di laicità delle istituzione, di libertà come responsabilità, di crescita di coscienza popolare, di politica come servizio, di religione non oscurantista che rifiuta il potere temporale dei papi. Rimasero tanti progetti di progresso sociale, incompiuti per mancanza di tempo. Rimase un popolo che, nella sua maggioranza, si alzava in piedi e difendeva le sue conquiste dopo un sonno millenario e in cui ricadrà dopo il ritorno di Pio IX,  per ritrovare questa eredità nei giorni seguenti l’8 settembre del 1943 e nella Resistenza. Per ritornare ancora nel sonno drogato dell’epoca del consumismo, fino ad oggi.

Ma quella eredità rimane lì sul Gianicolo, è ancora per quelle strade dove si passeggia o si mangia il gelato, è nei magnifici panorami, è nei bei giardini frequentati, ora, da gente distratta e sonnacchiosa che neanche guarda i busti che rappresentano molti di quei “Ragazzi”. E’ per quelle strade piene di traffico convulso fuori Porta S. Pancrazio dove iniziava la Strada del Sangue. E’ a Villa Pamphilj dove si va a correre o a riposarsi. E’ a via delle Fornaci, a via Aurelia, a Porta Portese, a Villa Sciarra, a Porta Cavalleggeri, a Monteverde Vecchio, a Ponte Milvio, a via Flaminia,  lì dove si combattè, si sperò, si morì e chi passa in quei posti neanche lo ricorda o lo sa. Dove sono rimasti solo dei nomi di vie sconosciuti ai più. Ma quell’eredità rimane, rimane ancora, lì.

Quando alle 19,30 del 16 giugno 2011 abbiamo iniziato la nostra terza Fiaccolata sul Gianicolo ( organizzata dal Gruppo Laico di Ricerca e dall’Associazione Garibaldini per l’Italia), dall’Arco dei Quattro Venti, dove si trovava il Casino dei Quattro Venti che vide la terribile battaglia del 3 giugno 1849, quando abbiamo iniziato ci siamo chiesti di fare un attimo di silenzio e di sentire, di ascoltare con le orecchie dell’animo gli spari, le grida, gli incitamenti, il rumore della battaglia. Di vedere con gli occhi dell’animo garibaldini, bersaglieri, studenti, semplici popolani affannarsi lì, proprio lì guidati da Garibaldi, Giacomo Medici, Manara, Pisacane, Roselli, per difendere quell’eredità.

Quando abbiamo cominciato il nostro cammino ( dietro le bandiere della Repubblica Romana) lo abbiamo chiamato Via Crucis laica, Celebrazione laica, perché non è solo l’ambito religioso che ha e deve avere l’esclusiva di queste cose “spirituali”. Quando ci siamo fermati alle “stazioni” di questa Via Crucis laica ( la Villa del Vascello, Porta S. Pancrazio, Piazzale Garibaldi e il Sacrario dove è seppellito Mameli con centinaia di suoi compagni/e) abbiamo pronunciato 41 nomi dei difensori di quell’eredità, nomi per tutti gli altri nomi e, soprattutto, per quei difensori di cui neanche il nome si è conservato.  Ci siamo ricordati, allora, delle parole che Pietro Calamadrei, giurista e membro dell’Assemblea costituente del 1945, pronunciò al Teatro Lirico di Milano il 28 febbraio 1954:

“QUEI MORTI SONO ENTRATI A FAR PARTE DELLA NOSTRA VITA, COME SE, MORENDO, AVESSERO ARRICCHITO IL NOSTRO SPIRITO DI UNA PRESENZA SILENZIOSA E VIGILE, CON LA QUALE A OGNI ISTANTE, NEL SEGRETO DELLA NOSTRA COSCIENZA, DOBBIAMO TORNARE A FARE I CONTI…E’ LA NOSTRA VITA CHE PUO’ DARE UN SIGNIFICATO E UNA RAGIONE RASSERENATRICE E CONSOLANTE ALLA LORO MORTE; E DIPENDE DA NOI FARLI VIVERE O FARLI MORIRE PER SEMPRE.”

Quando camminavamo per quelle strade, sotto quelle mura vedevamo i ruderi, i feriti, i morti, i loro sogni, le loro speranze, la loro paura, il loro coraggio; sentivamo le grida, le preghiere, gli spari, i colpi di cannone, i canti che sono rimasti tra quelle mura e quelle strade per difendere la Costituzione e il Sogno di una Repubblica. Quando camminavamo tra quelle mura e quelle strade la nostra banda suonava come un canto di tenerezza per quei “Ragazzi” e il tamburo con il rullo ritmato, cadenzato ci ricordava il loro dramma, l’ingiustizia, la violenza, il dolore. Quando abbiamo acceso le fiaccole abbiamo voluto, ognuno di noi presenti, essere uno di quei “Ragazzi” che difendevano la Repubblica, tenere accesa la sua fiamma sotto la cenere della sconfitta. Quando abbiamo concluso la Via Crucis laica al Sacrario, i bracieri accesi ci dicevamo che chi muore per un ideale, per migliorare l’umanità e la vita di tutti, è vivo a fronte di chi vive solo per se stesso e per salvaguardarsi: pur vivo biologicamente, è un morto che cammina.

Ecco l’eredità del Gianicolo per gli uomini e le donne spenti di oggi. Non si raccoglie questa eredità facendo monumenti o anche celebrazioni, ma decidendo di dedicare l’unica vita che abbiamo per migliorare l’Italia, per salvare qualcosa della sua Costituzione, figlia, come sappiamo, di quella della Repubblica Romana. Decidendo di rifiutare compromessi politici o economici, rifiutando di vivere solo per noi stessi e le nostre famiglie, di combattere oggi la “battaglia” con coraggio, sacrificio, responsabilità, speranza. E’ l’eredità che il Triumvirato ci ha lasciato nell’ultimo suo proclama, è l’eredità della Repubblica Romana, l’eredità del Gianicolo:

” Voi avete dato battesimo di gloria e di consacrazione di sangue generoso alla nuova vita che albeggia all’Italia, vita collettiva, vita di popolo che vuol essere e che sarà. Voi avete, raccolti sotto il vessillo repubblicano, redento l’onore della Patria comune contaminata altrove dagli atti tristi, e scaduto per impotenza monarchica. I vostri Triumviri, tornando semplici cittadini fra voi, traggono con sé conforto supremo nella coscienza di pure intenzioni, e l’onore di avere il loro nome consociato con i vostri fortissimi fatti.  Una nube sorge oggi tra il vostro avvenire e voi. E’ nube di un’ora. Durate costanti nella coscienza del vostro diritto e nella fede per la quale morirono, apostoli armati, molti dei migliori tra voi. Dio, che ha raccolto il loro sangue sta mallevadore per voi. Dio vuole che Roma sia libera e grande; e sarà. La vostra non è disfatta; è vittoria di martiri, ai quali il sepolcro è scala di cielo. Quando il cielo splenderà raggiante di risurrezione per voi, quando, tra brev’ora, il prezzo del sacrificio che incontraste lietamente per l’onore vi sarà pagato, possiate allora ricordarvi degli uomini che vissero per mesi della vostra vita, soffrono oggi dei vostri dolori e combatteranno occorrendo, domani, misti nei vostri ranghi, le nuove vostre battaglie”.

Appello del Triumvirato del  30 giugno 1849

 

 

Un nostro amico napoletano, componente del Gruppo Laico di Ricerca, ha composto una bella poesia come omaggio ai “Ragazzi” del 1849 e per comprendere il significato delle Fiaccole accese durante il percorso della Via Crucis laica:

 

Ai ragazzi del 1849 e a noi.

 A fiaccola

 Fiaccola piccerella

ma cu ‘sta luce brilla còmme ‘na stella.

Fiaccola che dà calore

me fa sentì vicino a ‘sti guagliun’

e a vita mia piglia cchiù colore.

Fiaccola accesa

ca resiste o viénto

si nuje a fernimmo e nun fa niente!

Fiaccola che dà speranza

si pure nuje ascimmo a into ‘sta stanza!

Luce che tremma còmme nu guagliòne

che cerca curaggio pe’ addiventà lione.

Guai si l’appicciasse sùlo pe’ me

scurdanname ch’essa è luce pure pe’ te!

 

Franco

 

 

vedi: FIACCOLATA AL GIANICOLO

12 giugno 2011. Perchè una Fiaccolata sul Gianicolo?

 

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